Cronache

Il fantasma di Priebke ora scuote la Germania: "Abbia degna sepoltura"

Berlino disponibile al rimpatrio della salma. E intanto, a 90 anni, ergastolo a un soldato tedesco che partecipò all'eccidio di Cefalonia 

Il fantasma di Priebke ora scuote la Germania: "Abbia degna sepoltura"

Roma - Alfred Stork condannato all'ergastolo nello stesso giorno in cui la bara di Erich Priebke viene «zincata», per essere spedita verso una destinazione ancora ignota. Ieri è stata scritta una nuova pagina sulle vicende che riguardano gli ex nazisti. Il Tribunale militare di Roma ha inflitto la massima pena all'ex caporale tedesco ormai novantenne, accusato di aver partecipato nel settembre 1943 alla fucilazione di almeno 129 ufficiali italiani a Cefalonia.

La salma dell'ex capitano delle Ss, invece, è ancora al centro di un macabro balletto tra autorità italiane e tedesche, perché nessuno vorrebbe ospitare un cadavere così scomodo. «Questo funerale è qualcosa di molto particolare per l'Italia ma lo sarebbe per tutti i paesi», ammette il premier Enrico Letta parlando ai giovani al Brookink Institute.

L'avvocato della famiglia Priebke Paolo Giachini fa sapere di avere ricevuto dal Prefetto un documento ufficiale che svela dove si trova la salma e la mette a disposizione dei parenti. «Vengo anche invitato a riprendere la trattativa - spiega il legale - e chiedo la collaborazione delle autorità per risolvere la situazione. Il corpo in Germania? È una possibilità». Il governo tedesco non lo esclude. «Il nome di Priebke è legato a orrendi crimini, ora è morto e speriamo che i suoi resti trovino pace - dichiara da Berlino Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Angela Merkel -. È da auspicare che a quelle spoglie mortali sia data sepoltura in modo appropriato». Ma il ministero degli Affari Esteri nega di aver avuto contatti con l'Italia. In realtà l'avvocato Giachini due giorni fa ha sentito l'Ambasciata tedesca a Roma e si è aperto uno spiraglio. La Germania, infatti, non nega la possibilità di accogliere i resti di Priebke, ma spetta ai familiari dell'ex capitano delle Ss trovare un luogo per seppellirlo. Nel paese natale del boia, Hennigsdorf, infatti, ribadiscono di non «poter» ospitare nei cimiteri locali la salma del nazista e di «non aver» comunque «ricevuto alcuna richiesta ufficiale dai familiari». Un'alternativa potrebbe essere Cava dè Tirreni (Salerno), dove il sindaco Marco Galdi per umana pietà dice di accetterebbe quel corpo per la cremazione «in forma riservata», per poi affidare le ceneri ai parenti.

Non si placano invece le polemiche attorno al prefetto di Roma che aveva scelto i Castelli Romani per celebrare i funerali. L'Anpi di Albano chiedono la testa di Pecoraro e i parlamentari del Pd, in un'interpellanza, invitano il Ministro dell'Interno a giudicarne l'operato.

Intanto ieri è arrivata la prima condanna per i fatti di Cefalonia. Il tribunale militare di Roma, accogliendo la richiesta del procuratore Marco De Paolis, ha condannato all'ergastolo Alfred Stork, che si trovò a far parte del plotone d'esecuzione attivo a Casetta Rossa che sparò a 73 ufficiali italiani della divisione Acqui, mentre un secondo plotone ne lasciò a terra 56. Stork, contumace, si è sempre disinteressato delle vicende del processo italiano. Ma otto anni fa in Germania confessò: «Ci hanno detto che dovevamo uccidere degli italiani perchè erano considerati traditori». Parole inutilizzabili in Italia, perchè rese senza difensore. Determinanti, invece, da sono state le testimonianze che lo hanno inchiodato. Dovrà risarcire le parti offese per un ammontare che verrà deciso in sede civile.

«Meno male... quell'assassino - commenta Libero Cosci, il più anziano in vita dei superstiti scampati alla fucilazione -. Questa decisione è giusta per la Storia». «Il tribunale - dice De Paolis - sembra aver sposato la tesi da noi sostenuta secondo cui l'ordine illegittimo, criminoso, non doveva essere rispettato: non può essere un paravento per coprire misfatti del genere.

Ma sono soddisfatto a metà: questa condanna arriva a 70 anni dai fatti e questa non si può chiamare giustizia».

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