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Fenomenologia di Grillo È costretto a bucare il video per esistere

Una comunicazione "drogata" ha bisogno di dosi sempre più esagerate. Il rischio? Finire nel partitino della protesta fine a se stessa

Fenomenologia di Grillo È costretto a bucare il video per esistere

E' probabile che Beppe Grillo già da lunedì sera canti vittoria. Le amministrative potranno rafforzare l'idea di una travolgente avanzata del suo Movimento 5 Stelle. Ma se questo è abbastanza scontato, vale la pena di chiedersi la natura del «fenomeno-Grillo».
Infatti al di là di questo test, il «fenomeno» esiste, anche se per il momento è soprattutto «mediatico», cioé legato al mondo trasversale dei media e alla loro capacità di agire rapidamente come «moltiplicatori» di consenso. Un circolo virtuoso (o vizioso, a seconda dei punti di vista) che si autoalimenta: la curiosità chiama interesse, l'interesse fa sì che Web, televisioni e giornali se ne occupino, più se ne occupano, più i partiti se ne preoccupano e - considerate le loro performance - generano nuova curiosità, nuovo interesse.
Beppe Grillo in televisione nelle ultime sei settimane ha conteso al segretario del partito di maggioranza relativa, Angelino Alfano, il maggior tempo di parola. I sondaggi indicavano come potenziali elettori del M5S oltre il 20 per cento. Nelle intenzioni di voto, le liste grilline arrivavano a ben oltre il 7 per cento. Grillo, nei suoi comizi ritrasmessi dalle tv, ha autoalimentato questi dati con iperboli che suscitano l'idea (o la speranza) che il Movimento presto diventi il primo partito.
Il resto lo hanno fatto i partiti tradizionali. Lo scandalo e la crisi verticale della Lega al Nord, l'affanno dell'intera classe politica (tradizionale e tecnica), la difficoltà crescente di Di Pietro di reggere il passo con Grillo (tanto che da ultimo, pur di non andare ko ha chiesto un armistizio). Ma ciò che fa di Grillo un «fenomeno» è appunto l'abilità dialettica e l'arditezza delle posizioni. Con qualche scivolone - sempre possibile in questi casi - come l'uscita sulla «lo Stato peggio della mafia».
Ma l'alleato principale del «fenomeno Grillo» resta la sfiducia generalizzata verso la classe politica. Oltre la metà degli italiani (il 50,2 per cento per la Swg) s'è dichiarato per il non voto. Le vicende giudiziarie restano il motore principale di questa delusione, però la satira feroce del comico - che gli consente semplificazioni altrimenti non consentite - approfitta di un chiaro effetto «moltiplicatore». Ancora più determinante, in quanto ogni attacco di Grillo agli avversari è «definitore di senso», vale a dire che crea il senso comune con il quale quel fatto (o personaggio) verrà d'ora in avanti interpretato.
A questo punto è lecito chiedersi che peso avrà a livello nazionale nel futuro prossimo l'aggregazione messa assieme da Grillo. Difficile fare previsioni, però è possibile scorgere fin da ora alcuni punti di forza, e altri di debolezza: potremmo perciò dire che solo se sapranno consolidare i primi e guardarsi dai secondi, i grillini diventeranno davvero il «fenomeno» della Terza repubblica (e non da baraccone).
Punti di forza.
1.Il primo va da sé: è Beppe Grillo, il cosiddetto (dai militanti) «megafono» del Movimento. Non un leader nel senso tradizionale, capace di attirare curiosità anche per la sua abilità nel mestiere che ha lasciato (lasciato?), quello di comico assai intelligente e preparato. Si può intravedere, inoltre, la sua capacità di metamorfosi: ha orecchie sensibilissime, si è tuffato a pesce nell'aggancio dei voti leghisti, assumendo senza pregiudizi posizioni persino invise ai militanti del Web (tipo quella dello ius soli). E' rapido, s'informa, sa tradurre in slogan di forte presa posizioni di esperti appena letti. Ed è volatile abbastanza per lasciarle cadere o rinnegarle quando vede che non sono più popolari. Esempio recente l'idea di abbandonare l'euro e restare nella Ue, che ricalca posizioni espresse da eminenti economisti (per tutti, Paul Krugman, premio Nobel). Grillo appare un leader «liquido», «volatile», al passo coi tempi e con l'attuale «volatilità» del consenso post-ideologico. Stridente il confronto con la lentezza dei politici tradizionali.
2.La seconda carta vincente del M5S è la natura giovanile e non compromessa della maggior parte dei suoi aderenti, che mai si erano avvicinati alla militanza politica. Lo fanno attraverso lo strumento dei tempi, il Web, che ha già visto liquefarsi molti «fenomeni» (da ultimo, il «popolo viola»). Però testimonia una passione civile e non legata al passato che è vitale e positiva.
3.Diretta conseguenza della natura dei protagonisti è la voglia di impegnarsi su progetti concreti e minuti, dunque invertendo il classico ordine dei partiti del Novecento. Prima essi delineavano il loro «mondo ideale», la Weltanshaunung, l'utopia da raggiungere, quindi cercavano di forzare le scelte al raggiungimento del traguardo ideale. Per i grillini vale l'esatto contrario: figli di un mondo sfuggente e indecifrabile, si dedicano alle piccole realtà locali, ai problemi concreti. Questo consente loro di dedicarsi all'amministrazione privi di condizionamenti, e di prendere la decisione migliore. Sempre che arrivino a stabilire quale sia.
I lati deboli.
1.Il primo dei lati deboli del M5S è diretta conseguenza, o altra faccia della medaglia, dell'ultimo punto di forza. I grillini appaiono spesso in balia delle onde, privi di una rotta salda, dunque facilmente «permeabili» da argomentazioni di derivazione (e conseguenze) assai differenti tra di loro. È possibile che questa «disinvoltura» faccia peccare loro di «coerenza», quando si dovessero trovare a decidere su piani nazionali.
2.Dello stesso tipo è il «lato B» dello stesso Grillo. Il tipo di comunicazione «drogata» che adotta lo porta ad alzare sempre di più la dose per «bucare» i media. Ma talora i temi scelti, i paradossi feroci, possono assumere valenze inattese: esempio significativo, la sparata sulla mafia. Il tipo di ragionamento per assurdo, privato del suo contesto comiziale, è diventato un clamoroso boomerang, che ha indignato le famiglie delle vittime di mafia (Grillo aveva detto, improvvidamente che «la mafia non uccide» per sostenere che ai mafiosi conviene tenere in vita chi paga loro il pizzo, mentre Equitalia spreme i cittadini fino al suicidio: la scelta del tema, e del ragionamento, è tipico di un procedimento mentale improprio e amorale che un politico non potrebbe/dovrebbe permettersi).
3.Del tutto oscura è anche la reale capacità di M5S di organizzare un procedimento decisionale che sia, al tempo stesso, democratico ed efficiente. I consiglieri comunali e regionali eletti fanno continuo riferimento alla struttura «orizzontale», che ricalca quella del Web. Ma chiunque abbia frequentato anche soltanto una chat o una discussione su facebook, sa benissimo come sia difficile far prevalere un convincimento ragionato e ragionevole (dunque di relativo buonsenso): per la natura stessa del mezzo, «passa» sempre il messaggio formalmente meglio espresso o tecnicamente più «accattivante». Senza contare la difficoltà estrema di poter trasferire nella vita reale le cosiddette votazioni «a maggioranza» espresse sul Web. L'assemblearismo virtuale potrebbe diventare una versione persino più drammatica di quello vigente nella Repubblica di Weimar. Che, come si sa, aprì la strada ad Hitler.
4.Ulteriore elemento di debolezza estrema, per il Movimento, è per così dire «costitutiva». Il fatto di vivere sul Web in prima istanza, e di trarre di lì il proprio vigore, rende i grillini vulnerabili a ogni tipo di interferenza e condizionamento. Come è stato già sottolineato da vari osservatori, ogni persona fisica capace può inventarsi gruppi organizzati virtuali capaci di influenzare le decisioni. Con imperturbabile ingenuità i grillini rispondono ricordando che, per far parte davvero del movimento, occorre partecipare fisicamente almeno a tre riunioni. Il problema, però, rimane: la sede virtuale resta «permeabile» in lungo e in largo da chiunque: lobbie, hacker, malintenzionati di ogni tipo. Potremmo dire che non sappiamo ancora bene neppure chi ci sia dietro Grillo. Se c'è qualcuno. Per ora decide lui su tutto, e amen. È l' unico titolare dell'uso del simbolo e lo concede in «franchaising».

Un futuro leader grillino, fattosi largo a forza di «mi piace» sul Web, che per assurdo fosse catapultato a Palazzo Chigi, potrebbe presto costringere gli italiani a cercare invano, sul computer, il tasto «non mi piace più».

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