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L'attentato a Togliatti e la guerra civile "fermata" da Bartali

Era il 14 luglio 1948 quando Antonio Pallante sparò diversi colpi di pistola verso il leader dei comunisti: fu la vittoria di Ginettaccio al Tour a bloccare un possibile putiferio nelle piazze italiane?

L'attentato a Togliatti e la guerra civile "fermata" da Bartali

14 luglio 1948, ore 11.30. La Seconda guerra mondiale è terminata da troppo poco tempo per potere già sperare nel futuro. Soltanto un paio di anni prima l'Italia si era data una forma repubblicana, in seguito a un referendum istituzionale su cui le numerose voci sull'effettiva regolarità del voto sono appena cominciate a circolare. Nel giorno in cui la Francia festeggia l'anniversario della presa della Bastiglia, quella data comincera a no risultare come le altre nemmeno per il nostro Paese. Succede infatti che, a Montecitorio, al termine di una seduta parlamentare non particolarmente significativa, si sentono distintamente quattro colpi di pistola: a sparare è il catanese Antonio Pallante, un nome che verrò ricordato per i successivi decenni.

Togliatti ricoverato dopo i colpi subiti

Venticinque anni, studente di giurisprudenza, aveva acquistato da poco una pistola al mercato nero dallo scarso valore. Decide di viaggiare dalla Sicilia a Roma con il preciso obiettivo di mettere in funzione l'arma appena comprata. Ma chi doveva essere la vittima? In quella tarda mattinata di 75 anni fa un colpo di pistola calibro 38 si infrange su un cartellone pubblicitario, mentre gli altri tre colpiscono schiena e testa di Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. La corsa in ospedale e la successiva operazione fanno da cornice ad alcune ore e giorni drammatici, tra i più agitati dal secondo dopoguerra in poi per un Paese che sta vivendo momenti di autentico panico.

Negli stessi giorni di quell'afoso luglio, sulle strade del Tour de France, un Gino Bartali ormai trentaquattrenne fatica enormemente a tenere il passo dei più giovani sulle complicate pendenze alpine. L'ultima vittoria italiana al Giro francese risale esattamente a dieci anni prima, con lo stesso Bartali che sfilò in giallo per le vie di Parigi. Ripetere un'impresa del genere sembra - apparentemente - impossibile. Ginettaccio, fino a quel momento, è uno dei più grandi atleti italiani di sempre: si scoprirà decenni dopo che anche durante il conflitto ha continuato ad allenarsi in bicicletta trasportando, all'interno della canna del suo mezzo di trasporto, fotografie e altri documenti necessari agli ebrei presenti sul territorio italiano per ottenere un'identità falsa e fuggire dalla persecuzione fascista.

Il giorno successivo all'attentato a Togliatti va in scena una tappa che resta ancora adesso nei libri di storia dello sport italiano: dalla croisette di Cannes, il gruppo tocca svariati colli (tra cui il mastodontico Izoard con il suo paesaggio lunare interamente vuoto di vegetazione) e si dirige verso Briançon. E così sul Col de l'Izoard, Gino Bartali sferra l'attacco decisivo che costa caro a chiunque, specialmente a Bobet che perde parecchi minuti ma conserva, seppur per poco, la maglia gialla. Il vento sembrava essere cambiato. Mentre qua in Italia la situazione è estremamente tesa: il Paese ribolle di proteste e cortei improvvisati da Roma e Torino, passando per Livorno e Genova (città natale del segretario del Pci). Il contesto è assai grave: si assiste a scene di guerriglia che richiamano alla mente presagi di guerra civile, con undici morti e decine di feriti. Serve qualcosa, o qualcuno, che riesca nell’impresa di rimettere a posto il tutto.

Quella sera stessa, nella camera d'albergo di Briançon, squilla il telefono. Gino Bartali risponde mentre dall'altra parte della cornetta c'è Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano in carica. Il discorso preciso non si è mai saputo, ma fondamentalmente il segretario della Democrazia Cristiana supplica a Gino di compiere un'altra impresa, nonostante le fatiche, e l'inevitabile "vecchiaia" sportiva: vincere questo Tour per il ciclista stesso per questo maledetto e intricato Paese. Il giorno dopo Bartali monta in sella alla sua bicicletta e, dopo 263 chilometri, taglia per primo sul traguardo di Aix-les-Bains conquistando tappa e leadership. Ovviamente, quella maglia gialla l'avrebbe portata fino a Parigi, fino alla passerella finale. E così, nell'ultima settimana di corsa, gli italiani non lasciano per un solo istante le radioline per essere aggiornato in diretta delle gesta del grande Gino.

La verità su quanto abbia inciso la vittoria di Bartali

Fu quello il motivo per cui in pochi giorni il clima nel Paese si rasserenò e la situazione diventò più tranquilla e ragionevole? C'è da sottolineare il fatto che la possibile insurrezione di massa dei militanti comunisti si era già arrestata davanti all'ordine di Togliatti di "stare calmi" e di "non fare pazzie" e questo ordine dalla sua stanza di ospedale certamente contribuì a rasserenare gli animi col tempo. Ma è anche altrettanto vero che il trionfo ciclistico del nostro connazionale avesse aperto ha consentito alla gran parte degli italiani di potersi "distratte" dalle notizie che stavano giungendo dalle varie piazze. È come se, grazie a Gino Bartali, i cocci di vetro si fossero piano piano rimessi ognuno al proprio posto.

Rientrato in Italia, Ginettaccio viene infatti accolto trionfante da Alcide De Gaspari, il quale chiede al corridore fiorentino cosa avrebbe voluto come regalo. "Mi permetta signor Presidente, se fosse possibile vorrei non pagare più le tasse". È probabile che non sia mai stato accontentato.

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