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"Salviamo vite". Così il comandante smonta tutte le bufale sui naufragi

Gianluca D’Agostino, capo del centro di Soccorso della Guardia Costiera a Quarta Repubblica: "Salviamo vite"

Immagine di repertorio
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Nessun governo, neppure questo, potrà mai costringere la Guardia Costiera a non salvare persone in mare. Ecco perché i migranti morti in mare nelle scorse ore, sia quelli annegati a Cutro che quelli scomparsi a poche miglia dalle coste della Libia, non sono deceduti “per colpa” dell’Italia o del suo centro di coordinamento. Lo ha detto e ribadito il comandante Gianluca D’Agostino, capo del centro di Soccorso della Guardia Costiera nostrana, intervistato a Quarta Repubblica.

D’Agostino guida in sostanza l’ufficio dove arrivano tutte le informazioni di soccorso che partono dal Mar Mediterraneo. In teoria Roma dovrebbe rispondere solo a quelle che riguardano barconi trovati in area Sar Italiana, al massimo in alcuni pezzi condivisi con Malta, non certo da tutto il “Mare Nostrum”. Come però molto spesso accade. La Libia non riesce a farsi carico di tutti i barconi in partenza, anche per mancanza di mezzi idonei; la Tunisia non risponde quasi mai al telefono; Malta non ne parliamo; e così gran parte del lavoro ricade sulle spalle italiane. “È un approccio che ormai esiste da oltre dieci anni - dice D’Agostino - l’Italia viene considerata il centro nevralgico del Mediterraneo ed è anche il Paese in possesso di una Guardia Costiera in grado di dare una migiore risposta a livello navale”.

Che l'Italia getti il cuore oltre l'ostacolo, tuttavia, non significa che debba essere considerata responsabile di ogni tragedia che avviene in acque internazionali. Prendiamo l’ultimo naufragio, dove un’imbarcazione carica di 47 persone si è rovesciata in mare aperto (30 i dispersi, 17 sopravvissuti) non lontano dalle coste libiche. Ad avvistare per primo l'imbarcazione alla deriva la mattina di sabato è Sea Bird, l'aereo della ong Sea Watch, dopo una segnalazione del servizio telefonico Alarm Phone. Dai colloqui pubblicati dalla Ong, motivo di tante polemiche, si intuisce che l’Italia avrebbe invitato un mercantile sopraggiunto in zona a contattare la Guardia Costiera libica (come da normativa), la quale però non avrebbe avuto mezzi a disposizione. A quel punto Sea Watch avrebbe telefonato al Centro italiano chiedendo farsene carco. Secondo l’Ong tedesca il rischio di naufragio "era noto alle autorità da oltre 24 ore” ma Roma li avrebbe “consapevolmente lasciati affogare”.

Falso, assicura il comandante D’Alessandro. “Dal punto di vista tecnico le nostre navi possono entrare in area Sar libica, ma dal punto di vista normativo sarebbe l’autorità competente a dover operare. Cioè la Libia”. Quello che l’Italia ha fatto è questo: ricevuto l’allarme, ha emanato un messaggio satellitare ai mercantili presenti in area, compreso il Basilis L, il primo arrivato sul posto". Altro non poteva fare. Perché non inviare una motovedetta sul luogo del naufragio? Semplice: “Le nostre unità Sar non potevano partire perché non avevano l’autonomia sufficiente per arrivare e tornare in sicurezza. Le altre navi in grado di farlo, sarebbero sopraggiunte dopo 20 ore di navigazione, ma erano impegnate in altri soccorsi”.

D’Agostino rigetta al mittente tutte le accuse calate sul capo della Guardia Costiera. Anche quelle di Massimo Giannini, direttore de La Stampa, secondo cui precisare che il naufragio è avvenuto “in area Sar libica” sarebbe un “puntiglio pilatesco”. “È puntiglio sì - ribatte d’Agostino - ma non pilatesco, parola che ritengo offensiva. Perché si tratta della verità. Anche perché noi ci siamo mossi quando abbiamo capito che la Guardia costiera libica non sarebbe intervenuta. In quel momento abbiamo assunto il coordinamento anche se sarebbe toccato a Malta”.

Insomma: non solo la Guardia Costiera ha “applicato tutte le norme internazionali”, ma si tratta di fantasie anche le illazioni secondo cui l’attuale governo avrebbe scoraggiato l’azione meritoria dei marinai nostrani. “Tutte le norme sono state applicate - conclude D'Agostino - quelle che c’erano oggi, c’erano anche ieri”.

Anche perché “nessuno mi può costringere" a non salvare vite in mare, neppure un ministro: "la responsabilità giuridica sarebbe mia”.

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