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Il minuto di silenzio per Giulia Cecchettin nelle scuole trasformato in lotta politica

Lezioni interrotte dagli studenti che, raccolto l'appello della sorella di Giulia, hanno trasformato il silenzio in rumore

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Nelle scuole di ogni ordine e grado del Paese, in base alla circolare del ministero dell'Istruzione, oggi è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare la morte di Giulia Cecchettin e, con lei, quella di tutte le donne che hanno perso la vita per mano di uomini violenti. Ma il minuto di silenzio, che è sinonimo di rispetto e raccoglimento in omaggio alla vittima, è stato trasformato nell'ennesima manifestazione politica, nel "rumore" invocato da Elena Cecchettin. E i dirigenti che hanno osato chiedere il rispetto delle regole sono stati messi alla pubblica gogna con video e post social.

"Valditara, non ci basta un minuto di silenzio. Domani faremo rumore nelle scuole di tutta Italia", si legge nel messaggio che rimbalza nei profili e nelle chat dei collettivi, rigorosamente di sinistra, di gran parte delle scuole italiane. "Bruceremo tutto", scrivono ancora gli studenti politicizzati, prendendo in prestito le ben note parole della sorella di Giulia, Elena. Una simile mobilitazione non si è vista in passato, quando per esempio è stata uccisa Sofia Castelli, appena ventenne, con una raffica di coltellate dal coetaneo ed ex fidanzato Zakaria Atqaoui. Era estate, quindi magari l'indignazione contro il patriarcato poteva essere delegata in nome delle vacanze al mare. È vero che non è mai troppo tardi per protestare contro le ingiustizie, come può essere la morte di una 22enne per mano del fidanzato, ma questa non può essere una lotta politica e intermittenza.

Il minuto di silenzio si è trasformato nella solita "guerra al patriarcato": gli studenti sono usciti dalle aule con i megafoni, hanno fatto i soliti comizi da centro sociale. Si è perso completamente il senso di quello che è il minuto di silenzio, usato come strumento politico e, perché no, come leva per la sospensione delle lezioni. Una dimostrazione arriva dal solito liceo Einstein di Torino, dove la politicizzazione del corpo studentesco è legata a doppio filo con i centri sociali del capoluogo piemontese, in particolare con l'Askatasuna. Anche qui, come in tutte le scuole, alle 11 è suonato il minuto di silenzio, trasformato in "momento politico da cortile".

Sono gli stessi studenti a riprendersi e a mettere le immagini, ai pari dei loro "colleghi". Ma da Torino fanno di più, perché pubblicano anche il video registrato mentre un dirigente appartenente alla presidenza, come viene scritto dagli stessi ragazzi, li invita a rientrare in classe. "Dovete tornare in classe. Una manifestazione va bene ma adesso si va in classe. L'avete chiesto?", dice la donna mentre uno studente si lamenta e protesta contro il ripristino dell'ordine e del regolamento, visto che si è andati ben oltre il minuto simbolico di sospensione. "Vergogna", scrivono gli studenti."Non chiederemo mai il permesso né faremo minuti di silenzio. Nessuna giustizia, nessuna pace", scrivono ancora. In questi giorni si è detto e scritto tanto sull'incapacità dei giovani di accettare i "no", l'hanno sottolineato gli psicologi e gli esperti comportamentali.

Quanto accaduto oggi è una plastica rappresentazione di questa deriva, in cui i giovanissimi rifiutano ogni educazione e rispetto delle regole, sentendosi al di sopra di ogni autorità, non riconoscendone il ruolo. E forse occorre ripartire anche da qui.

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