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La riforma del welfare smantella i call center: 80mila posti a rischio

La questione è molto seria. Si tratta di 80mila dipendenti che rischiano, per colpa del governo, di veder evaporare il loro posto di lavoro. Per essere più chiari parliamo di un fatturato di quasi un miliardo di euro. Quello delle aziende che, in Italia, svolgono attività telefoniche outbound (ovvero in uscita). Praticamente tutte. Vengono genericamente chiamati call center, e per tanti giovani rappresentano l'unico appiglio al quale aggrapparsi. Per tanti la prima occupazione, o come lavoro part time o per mantenersi gli studi. Per questo la cosa è molto seria. Tanto seria che durante l'esame parlamentare del decreto sviluppo, l'onorevole del Pdl, Maria Rosaria Rossi ha messo sul tavolo del governo questa priorità per cercare di salvare il settore dei call center dal rischio smantellamento. Sì, perché la riforma Fornero rappresenterebbe una rivoluzione per queste formule contrattuali flessibili, ma che fino ad oggi hanno garantito migliaia di posti di lavoro. Quello che altre formule contrattuali non sono riuscite a fare. Il testo della riforma del lavoro, infatti, ha di fatto confuso (o messo sullo stesso piano) flessibilità e precarietà. Una parificazione che creerebbe non poche difficoltà a tutte le aziende di settore che svolgono attività telefonica in uscita e che porterà verso un vicolo cieco: o chiudere o fuggire all'estero.
Ma nonostante la battaglia della deputata, dal decreto sviluppo è venuto fuori un mostro giuridico che «è stato generato dalla posizione favorevole del Pd alla deroga di fatto solo per i call center che svolgono attività di vendita di beni e servizi. Una mossa che affosserebbe il settore e che creerebbe una disparità di trattamento tra aziende e lavoratori che operano con le stesse modalità», sottolinea l'onorevole Rossi.
Quelli che nell'immaginario collettivo vengono da tutti denominati call center, infatti, sono vere e proprie strutture produttive che non si limitano solo a vendere beni e servizi. C'è molto di più. Sotto l'ombrello delle attività telefoniche outbound, devono essere comprese anche tutte le società che si occupano di sondaggi, le 1.334 aziende italiane di recupero crediti (con 16mila addetti) che svolgono un'azione indispensabile di tutela del credito, essenziale per lo sviluppo. Per non parlare delle aziende specializzate in marketing politico, ricerche di mercato, ecc.
Il problema semmai è costituito dalla tipologia. Per la natura stessa della loro attività, queste aziende sono inevitabilmente legate alla variabilità della richiesta da parte dei clienti e quindi va da sé che utilizzino contratti di lavoro flessibile, i famigerati contratti di collaborazione a progetto. «Questo ha consentito, però, negli ultimi anni di occupare migliaia di lavoratori che altrimenti non avrebbero avuto chances sul mercato perché impossibilitati a svolgere attività a tempo pieno», dice la Rossi.
Ieri alla Camera, però, si è intravista una luce. Il governo ha accolto l'ordine del giorno presentato dalla Rossi e si è impegnato a modificare la normativa sui contratti flessibili proprio in relazione ai call center. Ma la battagliera deputata non molla: «Ora serve al più presto una modifica legislativa. Vigilerò attentamente affinché il governo onori il suo impegno in tempi rapidissimi».

Una promessa che anche tutti questi 80mila addetti italiani sperano che sia considerata dal governo come un impegno urgente.

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