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Le sette vite di Di Maio

Rifiuto categoricamente quel pregiudizio che vuole che l'Italia sia un Paese che premia poco il merito e troppo spesso il demerito

Le sette vite di Di Maio

Rifiuto categoricamente quel pregiudizio che vuole che l'Italia sia un Paese che premia poco il merito e troppo spesso il demerito, in quanto avallandolo favoriremmo il convincimento che a nulla serva, ad esempio, studiare, o impegnarsi nel perseguimento di un obiettivo qualsiasi, che sia sufficiente essere «amico di» o «parente di» o «raccomandato da». Tuttavia, i fatti talvolta mi smentiscono, e me ne dolgo.

Prendiamo il caso Luigi Di Maio, ex ministro del Lavoro che non aveva mai lavorato, eccezion fatta per l'attività part-time di venditore di bibite allo stadio, ex ministro degli Esteri il quale era certo che Matera fosse in Puglia, tanto per citarne una, ex vice-premier del governo gialloverde incapace di coniugare i verbi e anche ex portavoce del Movimento Cinque Stelle che è riuscito a fare crollare i consensi di milioni e milioni di unità nel breve periodo della sua mediocre leadership. Ci eravamo tutti illusi che questi si sarebbe eclissato con la caduta del governo Draghi e il seguente naufragio del partitino dallo stesso Gigi fondato staccandosi dai cinquestelle, persuaso com'era che il popolo lo avrebbe seguito. Invece no. Di Maio ha sette vite come i gatti, o forse anche di più. Ed eccolo lì che ricompare, non te lo levi mai dalle scatole. E di scatole, del resto, Luigi se ne intende. Era lui a volere aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno. E come una scatoletta di tonno intendeva scardinare anche l'Europa, quella Europa contro la quale ha montato campagne elettorali, almeno prima di indossare la veste di bravo scolaretto, una questione di mera sopravvivenza politica, davanti alla quale la coerenza può soccombere, o per meglio dire, andare a farsi fottere. Nel 2013 l'Europa era nemica, qualcosa di cui liberarsi; l'euro un danno, qualcosa da eliminare. Nel 2015 Di Maio sostenne strenuamente il referendum promosso in Grecia per abbandonare l'UE. Nel 2018, l'Europa per Gigino faceva ancora tanto schifo. Anzi, proprio nell'ottobre del 2018 Di Maio avanzò una previsione come fosse Nostradamus, o Paolo Fox, fate voi: «Questa Europa tra tre mesi è finita». Eppure l'Europa non finì, finì soltanto Di Maio, finì di sparare contro l'Unione e ne divenne il difensore, tanto che nell'autunno (...) del 2022, quando si ritrovò disoccupato, si cominciò a parlare di una sua possibile nomina quale rappresentante speciale europeo per il Golfo Persico, nomina (si dice già caldeggiata addirittura da qualcuno all'interno del governo Draghi, probabilmente dallo stesso Gigino) che generò immediate perplessità non soltanto in Italia ma anche in Europa e persino nell'area del Golfo.

Insomma, a Gigi hanno salvato il fondoschiena. E questi da giugno scorso ricopre tale ruolo, così come ha fortemente voluto l'Alto rappresentante della UE Josep Borrell, il quale ritiene che Di Maio disponga del «profilo politico necessario a livello internazionale per questo compito», potendo contare su «ampi contatti con i Paesi del Golfo che gli permetteranno di impegnarsi con attori rilevanti». Borrell confida nell'ex grillino «per attuare la nostra partnership strategica con gli Stati del Golfo».

O noi abbiamo sottovalutato Di Maio o Borrell lo sopravvaluta. Delle due una. Sta di fatto che l'ex cinquestelle, che per fare il nunzio europeo guadagna circa 12mila euro netti al mese con regime fiscale agevolato e copertura integrale delle spese dello staff, è già in piena attività di messo della UE. Già, lui, proprio lui che fece visita ai Gilet Gialli che in quelle settimane stavano mettendo a ferro e fuoco Parigi dando quasi origine a un incidente diplomatico, proprio lui che indicò Pinochet quale dittatore del Venezuela, proprio lui che chiamò Xi Jinping «il presidente Ping». E qui mi fermo.

Nei giorni scorsi l'inviato speciale dell'UE, il signor Luigi Di Maio, si è recato a Teheran, in Iran, per verificare le condizioni del cittadino svedese Johan Floderus, accusato di spionaggio e detenuto da oltre un anno laggiù, nonché per gettare le basi per una trattativa finalizzata alla sua liberazione, magari mediante uno scambio di carcerati tra Svezia e Iran. A chi ridimensionava l'operato di Gigi, addirittura criticandolo, Borrell ha risposto che quello di Di Maio è stato un ottimo risultato in quanto ha ottenuto una visita consolare a Johan, ed erano mesi che le autorità del Paese islamico non davano informazioni riguardo i ristretti europei sul suo territorio. Gigi con il suo inglese maccheronico sarà stato persuasivo.

Giusto negoziare per la liberazione dei cittadini europei rinchiusi nelle carceri iraniane, ci mancherebbe. Eppure il nostro pensiero non può non rivolgersi, proprio in questi giorni, a un anno esatto dalla uccisione di Mahsa Amini, 22enne curda ammazzata di botte lo scorso 16 settembre dalla polizia morale iraniana poiché non indossava correttamente il velo, e quindi dall'inizio delle rivolte contro il regime iraniano, a quegli oltre 500 civili (tra cui quasi un centinaio di minori) che sono stati torturati, violentati, massacrati dal governo iraniano e alle migliaia di manifestanti tratti in arresto. Una macelleria che prosegue, nel silenzio e nell'indifferenza dell'Occidente libero, civile e femminista.

Europa inclusa.

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