Letteratura

James Welch, sospeso fra due culture nel Montana dei nativi e del grande vuoto

Poeta e romanziere, raccontò le vite a ostacoli di chi ha il "sangue misto"

James Welch, sospeso fra due culture nel Montana dei nativi e del grande vuoto

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L'ultimo giorno di Jim Loney (Mattioli 1885, pagg. 205, euro 18, traduzione di Nicola Manuppelli) di James Welch, della tribù dei Piedi Neri, è la storia di un sangue misto che vive in un paesino del Montana e che porta nel cuore la doppia ferita dell'abbandono da parte della madre, prima, e del padre poi. Nonostante una ragazza texana e la sorella maggiore tentino di salvarlo dall'autodistruzione, le nubi sulla sua anima e sul cielo del Montana si addensano lugubri.

James Grady, noto per il suo romanzo d'esordio, I sei giorni del Condor (ridotti a tre nella trasposizione cinematografica di Sydney Pollack), mantiene una forte relazione con la sua terra di origine, il Montana, e conosceva bene Welch (1940 - 2003). Di lui dice: «Credo che ci considerassimo dei colleghi, ma anche degli amici. Lo incontrai per la prima volta alla University of Montana, a Missoula, tra il 1968 e il 1969, dove era una leggenda nella sezione di scrittura creativa del dipartimento di inglese di cui io ero un invasore della scuola di giornalismo. Girava voce che la sua prosa fosse di qualità, ma le sue poesie erano fantastiche. Un aspetto fondamentale della vita di James è il fatto che uno dei suoi mentori presso la University of Montana sia stato il formidabile poeta Richard Hugo, un veterano della Seconda guerra, sfrenato e brontolone, affetto da sindrome da stress post-traumatico. Hugo ha esercitato una profonda influenza su di me e, dunque, l'ho visto lavorare con James qualche volta. In una di tali occasioni, alzarono gli occhi e mi videro e si fecero le presentazioni. Non vedevo l'ora di conoscere James perché lui era cresciuto a una sessantina di chilometri dalla cittadina in cui il saggista e professore Sidner Larson e io vivevamo. Avevo la sensazione che fosse una cosa meravigliosa, bizzarra e fortunata che tre di noi che venivamo da quella vasta prateria dorata chiamata il Grande Vuoto avessimo il germe ossessivo della scrittura. James era un autore fantastico. Capiva il mondo così come le nostre singole esistenze e ne scriveva. Provo un lieve fastidio quando lo sento definire un autore indigeno perché stava dalle stesse parti di autori come Richard Ford e John Updike. Non è il caso di tentare di incasellare James: è un favoloso autore americano. Giusto la settimana scorsa, ho notato una nuova ristampa del suo The Indian Lawyer sul tavolino di un amico vincitore di un premio Pulitzer che me ne ha tessuto le lodi. Peccato non averlo conosciuto meglio, non avergli parlato e non averlo visto più spesso. Sarei diventato uno scrittore migliore, probabilmente persino una persona migliore. Vedere la sua luce brillare - persino per un tempo così breve - mi ha reso un fortunato prosatore».

Tramite James Grady, ho avuto la possibilità di chiedere a un altro conterraneo di Welch un ritratto dell'autore, scomparso prematuramente nel 2003. Sidner Larson, come Grady, è della cittadina di Shelby, Montana, ed è un esperto di cultura e letteratura nativo-americana, che insegna in diversi atenei.

«James Welch e io siamo cresciuti nella riserva indiana di Fort Belknap e nella cultura mainstream per buona parte della nostra giovinezza. Eravamo cugini acquisiti e abbiamo trascorso del tempo nel ranch di nostro nonno. Inoltre, abbiamo entrambi trovato lavoro nel sistema di istruzione superiore degli Stati Uniti e ci siamo tenuti in contatto nel corso degli anni. Veniva sempre quando lo invitavo a parlare nei posti in cui insegnavo, soprattutto in occasione di una conferenza nazionale che dirigevo presso la University of Oregon. Jim era immancabilmente gentile e aveva la grande capacità di capire entrambi i lati delle vite biculturali che avevamo finito per condurre da adulti. L'ultimo giorno di Jim Loney è una riflessione su quel tema e non mi viene in mente una riflessione migliore su cosa sia sostanzialmente vivere nella parte buia della luna, con i suoi traumi intergenerazionali e la sostanziale incapacità di fare qualcosa al riguardo.

Avrebbe potuto scrivere molto altro se fosse vissuto più a lungo, ma dobbiamo apprezzare le gemme che ci ha lasciato».

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