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L'amore oltre la demenza. Jessica Chastain a tutto eros

In "Memory" di Michel Franco l'attrice reincontra il suo violentatore. Che ha perso la memoria

L'amore oltre la demenza. Jessica Chastain a tutto eros

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Il regista messicano Michel Franco (Sundown) ha un modo molto particolare di fare film. Sul set non ci sono camerini per gli artisti, non ci sono truccatori o parrucchieri. Gira nello stesso ordine temporale della storia che racconta e non ama ripetere le scene. Di solito le sue sequenze sono molto lunghe e mai spezzate da riprese da altre angolazioni o da qualsivoglia copertura. Il risultato è uno stile molto sobrio, quasi documentaristico. L’aspetto dei protagonisti è crudo, essenziale, reale.

Per questo, prima di girare Memory, dal 7 marzo nelle sale in Italia, Franco ha chiesto a Jessica Chastain e Peter Sarsgaard se le sue regole stavano loro bene. I due attori hanno aderito con entusiasmo. “E’ un modo quasi teatrale di fare cinema - dice Sarsgaard, che lo scorso settembre per questo film ha vinto la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia - uno stile che dà molto potere agli attori. Era già capitato troppe volte di non riconoscermi nel lavoro fatto una volta montato il film. Ho trovato stimolante mantenere un certo controllo artistico di quel che facevo.”

Anche Jessica Chastain si è subito appassionata al progetto: “Il momento in cui ho realizzato davvero il livello di veridicità dei film di Michel Franco è stato proprio durante le riprese della prima scena. Giravamo un incontro degli Alcolisti anonimi. Ebbene, eravamo davvero ad uno di quei meeting, mi chiedo ancora come Michel abbia ottenuto i permessi di mostrare i volti di quelle persone”. Il timore di Jessica Chastain era che si notasse il suo non essere autentica in mezzo agli autentici. “Temevo davvero di saltare agli occhi come un elemento di disturbo, avevo insomma paura che si vedesse che ero solo un’attrice in mezzo a persone vere”. Forse anche per questo Sylvia, il suo personaggio, non è mai truccata e i suoi vestiti sono dozzinali. “Sono andata personalmente a comprare il guardaroba di Sylvia in un magazzino all’ingrosso”, dice l’attrice.

La storia che Memory riguarda, appunto, la memoria. Quella di Sylvia, una madre single con un passato da alcolista, tormentata dai ricordi di una violenza sessuale subita da adolescente e quella di Saul (Sarsgaard) che si sta perdendo nel buio di una demenza precoce. I due si ritroveranno in un legame che curerà le reciproche ferite. “Il regista è stato bravissimo a eliminare tutti i possibili sdolcinati sentimentalismi che un tema del genere poteva insinuare, il rischio era quello di fare la solita pasterella dolce hollywoodiana sulla demenza senile - dice Jessica Chaistain - ma credo che proprio lo stile di Michel Franco abbia scongiurato questa eventualità”.

Man mano che la storia si sviluppa un legame romantico nasce fra i due. “La bellezza del racconto sta nell’incontro fra una donna che non riesce a dimenticare i traumi del passato e un uomo che, proprio a causa della sua malattia vede in lei una persona nuova, non segnata da quello che le è successo e che invece la condiziona da sempre”.

Sarsgaard per la parte che gli ha permesso la vittoria a Venezia si è ispirato ad uno zio, mancato recentemente dopo essere stato colpito dall’Alzhaimer. “Molti pensano che questo tipo di malattia sia solo un precipizio in un buco nero, un perdere più o meno velocemente la propria personalità. Non sempre è così. Mio zio emanava positività nella malattia e Saul fa lo stesso. La malattia lo cambia, ma non necessariamente in peggio. Non subito almeno. Mio zio era ricoverato in una struttura speciale in Tennessee e ricordo le sue risate quando andavamo a trovarlo e gli cantavamo “The Rainbow Connection”, la canzone della rana Kermit del Muppet Show. Non so se ci riconosceva più a quel punto della sua vita, magari non sapeva che ero suo nipote ma sentivo che un legame c’era, che quell’uomo dalla memoria evanescente aveva ancora fiducia in me”.

Un messaggio importante per le tante famiglie che hanno a che fare con parenti colpiti da demenza.

“Non sono altre persone quelle che soffrono di Alzhaimer - conclude Peter Sarsgaard - sono gli stessi che erano prima che arrivasse questa etichetta, solo più fragili”.

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