Cronaca locale

Il legale lo fa assolvere, lui gli chiede i danni. E alla fine il giudice lo condanna

L'imputato, per non pagare la parcella, cita il suo stesso avvocato per danni morali, chiedendo 200mila euro di risarcimento. Ma il tribunale gli dà torto, e gli impone di liquidare al difensore altri 3mila euro

Guai a fare l'azzeccagarbugli e a usare la laurea in giurisprudenza per non pagare il conto al collega che ti ha difeso con successo in un processo. Se esageri con i cavilli pretestuosi in mala fede, rischi una condanna per lite temeraria utile solo a far lievitare ancora di più il conto. È successo all'avvocato A. P. di Palermo, che ha impugnato davanti al giudice civile di Milano Damiano Spera il decreto con cui il tribunale gli aveva ordinato di saldare a un altro avvocato del foro milanese il conto di 9mila euro perché lo aveva difeso nei tre gradi di giudizio di un processo. Proponendo opposizione al decreto ingiuntivo, A. P. chiedeva anche che gli fossero risarciti 200mila euro di danni biologici, morali, esistenziali per violazione del diritto alla privacy e violazione del codice deontologico forense. Il tutto perché a suo dire aveva conferito al collega il mandato di difensore solo per il primo grado e l'appello, ma non per il ricorso in Cassazione. Il giudice, invece, lo ha condannato non solo a rifondere il debito di 9mila euro al legale, ma a pagarne altri 3mila per lite temeraria. Ovvero per aver promosso una causa del tutto pretestuosa, utile solo a far perdere tempo al magistrato pagato dai contribuenti. Al conto vanno a sommarsi altri 1.644 euro per i diritti delle spese processuali, 4.500 per l'onorario di avvocato e 768 di spese generali. Nella sentenza si legge che proponendo opposizione al decreto ingiuntivo di pagamento, l'avvocato A. P. ne chiedeva la revoca «per carenza dei presupposti di legge e, in particolare, per la mancata sottoscrizione della diffida ad adempiere, nonché per il mancato adempimento degli obblighi di informativa e trattamento dei dati personali». Richiesta bocciata dal giudice della quinta sezione civile, in quanto dai documenti risulta «che non è affatto fondata l'eccezione dell'opponente (A.P., ndr) circa la carenza di mandato dell'avvocato nella proposizione del ricorso in Cassazione», dal momento che A.P. non ha contestato prima dell'udienza la nomina del collega quale difensore di fiducia e quindi quest'ultimo «era munito dei necessari poteri sia in relazione al giudizio di primo grado, sia per il giudizio di appello che per il ricorso in Cassazione». Ricorso che è stato ritenuto valido dalla stessa Suprema corte, tant'è che poi si è celebrato il processo con l'annullamento della condanna in appello. Si sottolinea, inoltre, che era nel potere di A.P. in qualità di imputato rinunciare al ricorso in Cassazione redatto dal collega, cosa che non ha voluto fare. Invece ha denunciato il difensore all'Ordine forense di Milano, contestando «il pagamento di un onorario per una attività non richiesta». Ora, secondo il giudice, il professionista ha tutelato gli interessi di A.P. e la sua condotta è stata conforme alle norme deontologiche. Ritiene inoltre che l'onorario richiesto è adeguato alla quantità e qualità delle prestazioni svolte. Di qui il rigetto dell'opposizione. Spera, però, è andato oltre, scrivendo in sentenza che «merita accoglimento, infine, la domanda di risarcimento del danno per lite temeraria» proposta dal difensore-creditore «perché dal complessivo contegno processuale dell'opponente risulta provato che questi abbia promosso il giudizio con colpa grave», come previsto dall'articolo 96 del codice di procedura civile che stabilisce un risarcimento a carico di chi risulta aver agito in giudizio «con mala fede o colpa grave». Il giudice sostiene che «deve essere censurata l'assoluta sproporzione esistente tra la richiesta di onorario per 9mila euro congiuntamente all'esito positivo del giudizio in Cassazione e la richiesta di danni per ben 200mila».

Di qui la decisione di liquidare al difensore altri 3mila euro di risarcimento per lite temeraria.

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