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L'Italia delle rivalità: il pisano rifiuta i soldi di Livorno

L'Italia delle rivalità: il pisano rifiuta i soldi di Livorno

Christian Amoroso non se l'è sentita. Per un pisano vestire la maglietta del Livorno calcio sarebbe stata una bestemmia, un'offesa incancellabile, un tradimento vergognoso. Correre sotto la curva nord del Picchi non è cosa bella e giusta per uno che ha fatto l'asilo e le scuole sotto la torre che pende che pende non casca mai giù. E allora niente contratto, niente di niente, due righe per giustificare il ripensamento, con tanto di strafalcione "sono un pisano ad hoc", ci sta scritto, dove la denominazione di origine controllata è stata violata da una astrusa citazione latina. Risate di mezza estate, il calcio dei milionari regala anche figurine infantili.

Pisa e Livorno si guardano cattive, quindici chilometri di distanza sono un oceano, un universo, la Toscana non unisce, divide; terra e mare, cultura e lavoro, università e porto, la geografia non conta, l'atlante è un'ipotesi, la guerra di borgo è una realtà aspra. Il Vernacoliere, livornese questo doc senza errore, teneva una rubrica fotografica riservata al "pisamerda", i lettori turisti in ogni dove del mondo, fosse l'America o il Congo, avrebbero dovuto lasciare un souvenir su qualche muro, monumento, albero o simile con l'elegante dicitura "pisamerda", appunto, per poi spedire l'istantanea al foglio che avrebbe pubblicato il messaggio cortese. Di contro girava in piazza del Camposanto una canzoncina che diceva:" Il sogno del pisano è svegliarsi a mezzogiorno, guardare verso il mare e non vedere più Livorno".

La striscia di terra che va verso Tirrenia è una zona calda, la Shankill road di Belfast trasferita dalle parti nostre, trottolino Amoroso dudududududu, come lo hanno già timbrato i labronici, non ha voluto oltrepassarla, meglio un tackle ad Ascoli o nel profondo sud d'Italia, restare alla larga dell'azzardo per non concludere anzitempo la carriera pedatoria.

Storie piccole di football, laddove il campanile non è più soltanto quello verso il quale il parroco calcia il pallone per dare via alla festa, no, il campanile è la stazione di identità, la maglietta da football è il segnale di appartenenza alla fazione, alla contrada, alla curva, all'idea e all'ideologia. Il calcio dei mercenari e dei fuggitivi per denaro non si libera della sua origine di quartiere, Pisa e Livorno ne rappresentano la conferma più clamorosa, unite, sulle mappe, da un tratto breve di penna, divise da secoli di battaglie dialettiche, non soltanto. Il calcio nostrano si presta a qualunque compromesso, corruzione, ambiguità ma cade davanti alle beghe di paese, si può cambiare moglie e partito ma non la squadra, questo è l'unico, fondamentale comandamento dei tifosi, fedeli nei secoli.

I calciatori, loro invece, sono mercanti di se stessi, vanno e vengono dove li porta il contratto, baciano la maglia e, subito dopo, si svestono in fretta come uno spogliarellista a pagamento, giurano fedeltà eterna e firmano due contratti paralleli, in contemporanea (Figo Luis, ricordate?); c'è chi ha giocato nel Milan e nell'Inter, nel Toro e nella Juve (Aldo Serena vi basta?), uno, nessuno centomila, nel senso del soldo, il maestro Pirandello non c'entra;in Scozia accadde, addirittura, che un cattolico del Celtic, "Mo" Johnstone il cognome dell'attaccante, passasse ai protestanti dei Rangers, delitto infame, oltraggio al crocefisso, gli bruciarono la casa, l'automobile, c'era di mezzo la religione, non quella del football ma della chiesa, l'atto vile era il suo non quello degli hooligans di Glasgow.

Adesso a Livorno se la spassano, un pisano che se la squaglia riempie la pancia e la bocca dei "triglioni", Amoroso ha avuto fifa, questa la verità, paura di sentire gli insulti dei suoi concittadini e, in contemporanea, le torte in

faccia dei vernacolieri. Il coraggio si ferma prima del fischio d'inizio, qui si tratta di salvare la faccia, non la pelle, per fortuna. Meglio svignarsela, quindici chilometri più in là, possono rappresentare la libertà.

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