Serialità

L'ultimo Bruce Willis in versione detective

Va in onda la serie girata dall'attore prima di ritirarsi dal set a causa della sua malattia

L'ultimo Bruce Willis in versione detective

Fate una prova. Digitate, su Google, come chiave di ricerca «Bruce Willis». Sapete qual è la prima domanda che compare tra quelle fatte dagli utenti? «Perché Bruce Willis non può più recitare?». La risposta iniziale era afasia, che è una malattia che comporta la perdita progressiva della capacità di parlare e comunicare. Una patologia rara che ha colpito il duro per eccellenza del cinema di azione, ma che poi è peggiorata, come hanno spiegato, in una nota congiunta, l'attuale moglie, Emma Heming-Willis e l'ex, Demi Moore: «Da quando abbiamo annunciato la diagnosi di afasia nella primavera del 2022, le condizioni di Bruce sono progredite e ora abbiamo una diagnosi più specifica: demenza frontotemporale (nota come Ftd). Sfortunatamente, le sfide legate alla comunicazione sono solo un sintomo della malattia che Bruce deve affrontare». Una fonte anonima vicina alla famiglia aveva confessato a RadarOnline.com che: «Ci sono giorni in cui si vedono scorci del vecchio Bruce, ma sono brevi e sempre meno frequenti. Sembra che stia scivolando sempre più lontano». E così, nel 2022, a 67 anni, Bruce ha dovuto dire addio alle scene. Del resto, gli ultimi due anni erano stati un vero calvario per lui, sul set, con annessi incidenti. Già durante White Elephant, nel 2021, un assistente era costretto a leggergli le battute negli auricolari perché Willis non le ricordava. Tanto da non poterne più fare a meno per i successivi film. Al punto che, davanti alla domanda sul motivo per il quale lavorasse con gli auricolari, avevano cercato di tenere nascosta la malattia, adducendola alla perdita dell'udito nell'orecchio sinistro. Peccato che, però, li portasse anche a destra. Addirittura, sul set di Hard Kill avrebbe sparato, per errore, senza preavviso, con la pistola di scena, fortunatamente caricata a salve, anche se il produttore, Randall Emmett, aveva poi negato l'episodio. Del resto, era un po' il segreto di Pulcinella, con sceneggiatori costretti ad abbreviargli i dialoghi, evitando monologhi, come in Out of Death e con registi obbligati a concentrare in un paio di giorni le sue scene. E pare anche che quelle di azione venissero tutte realizzate, ultimamente, da controfigure.

Il che non gli ha impedito, negli ultimi due anni di carriera, di recitare in un numero spropositato di film. Dal 2020 fino allo stop forzato, addirittura 24, tutti Direct-to-video, finiti, cioè, direttamente in televisione e di qualità, francamente, imbarazzante. In pratica, ha concentrato, in due anni, quello che gli altri girano in 8-10. L'ultimo ruolo, in assoluto, è quello avuto in Assassin, andato in poche sale selezionate Usa lo scorso 31 marzo, purtroppo da dimenticare per qualità artistica. Del resto, che fossero film usa e getta lo dimostra anche uno spiacevole episodio che ha coinvolto, indirettamente, il nostro Bruce. Nel 2022, infatti, i Razzie Award, le statuette antitesi degli Oscar, che premiano le peggiori performance nella settima arte, avevano creato la categoria speciale «Peggiore interpretazione di Bruce Willis in un film del 2021», dove concorrevano tutti e 8 i suoi film distribuiti in quell'annata. Salvo poi, una volta uscita la nota della famiglia che annunciava la sua malattia, annullare opportunamente il premio.

A luglio, in particolare, vedremo, su Sky, la sua ultima serie cinematografica interpretata prima del ritiro, quella dedicata al Detective James Knight. Lontana anni luce dalle serie che gli avevano dato giusta fama, a partire dal ruolo mitico di John McClane, nella saga di Die Hard, che lanciò la carriera di Willis, trasformandolo in uno dei più grandi attori di action dagli anni Novanta in poi; quasi un destino per uno nato in una base militare statunitense situata in Germania. Il simbolo del duro per eccellenza e fa tristezza vedere come la malattia ne abbia minato l'aura. Anche se Bruce aveva dimostrato, durante la carriera, di essere un attore versatile, come nell'indimenticabile performance del Sesto senso.

Nella trilogia dedicata al Detective Knight, programmata da Sky, ovvero Detective Knight - La notte del giudizio (il 6/7), Detective Knight - Giorni di fuoco (il 13/7), Detective Knight - Fine dei giochi (il 20/7), emerge, chiaramente, che il Bruce Willis in scena non è certo quello che aveva dato lustro al genere action. Battute brevi, spesso senza inquadrarlo, pronunciate dopo un attimo di silenzio (come se aspettasse il suggeritore), zero scene di azione (se non di spalle), pochi minuti in scena (pur essendo il protagonista). Ogni film, legato a una festività: Halloween, Natale, Independence Day. Nei panni di un detective veterano dai modi poco ortodossi, Bruce si trova alle prese, di volta in volta, con casi, più o meno, complessi. Per modo di dire, però, perché nelle sue poche scene, lo vediamo, spesso, che ascolta, in silenzio, quello che hanno da dire gli altri protagonisti. Salvo poi uscire di scena e comparire, dopo un po', nel film, senza sapere cosa abbia fatto nel frattempo, ma portando degli indizi ricavati non si sa come e dove. Con un finale di saga, Detective Knight - Fine dei giochi, completamente avulso dai due precedenti capitoli, senza gli stessi protagonisti, fine a se stesso. Nel senso che si sarebbe potuta intitolare «Detective Vattelapesca» e nessuno si sarebbe accorto della differenza. Dove è evidente che la malattia di Bruce stava prendendo il sopravvento, visto che nel film è raro vederlo parlare, nella stessa inquadratura, direttamente con altri attori.

Insomma, un finale di carriera che Willis non avrebbe meritato. Del resto, già dal 2010 il suo nome era diventato più marginale nei ruoli affidatigli, con tanto di clamorosa esclusione da I mercenari 3, pare per questioni legate al suo cachet. Alla fine, dal 1980 a oggi, ha recitato in 125 film, oltre a numerose comparsate televisive. Uno che è diventato un duro anche combattendo il bullismo di cui è stato vittima da bambino, quando, per la sua balbuzie, veniva soprannominato «Buck Buck», difetto che si è poi miracolosamente perso grazie alla recitazione sul palco.

Grazie per la tua carriera, «Die Hard».

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