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Mafia, tredici in arresto: coprivano la latitanza del boss Messina Denaro

Stroncata la rete mafiosa che garantisce la latitanza al boss di Mazara del Vallo: 300 uomini impegnati nell'operazione Golem. Perquisite anche le celle di diversi capimafia: trovati pizzini riconducibili al latitante (dal '93)

Mafia, tredici in arresto: 
coprivano la latitanza 
del boss Messina Denaro

Trapani - Stroncata la rete che garantisce la latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Per l’accusa sono i componenti di una fitta rete di favoreggiatori che da anni copre il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Palermo.

La rete di supporto I provvedimenti sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro. Nell’operazione sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. L’operazione viene denominata Golem.

Il cugino Nella rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Messina Denaro vi è anche un cugino del boss trapanese ricercato da 16 anni. Uno dei provvedimenti cautelari riguarda anche lui. L’uomo, secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti ad imprenditori. Dall’inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro. Oltre all’esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all’organizzazione.

Messagi dal carcere I boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all’esterno del carcere messaggi che erano anche diretti al latitante Messina Denaro. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell’inchiesta Golem. Le perquisizioni sono state disposte negli istituti di pena dell’Abruzzo, della Campania, della Calabria e della Sicilia. Fra i boss perquisiti Mariano Agate, 70 anni, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, detenuto da 15 anni, condannato a diversi ergastoli; Filippo Guttadauro, 58 anni, cognato di Messina Denaro, arrestato nel luglio 2006, indicato nei pizzini che si scambiavano Bernardo Provenzano e Messina Denaro, con il numero 121. Gli investigatori, durante le prime perquisizioni hanno acquisito diversi elementi importanti, già al vaglio degli inquirenti, e per questo motivo stanno valutando la possibilità di chiedere al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria l’immediato trasferimento di alcuni detenuti in altri istituti di pena.

Gli spostamenti all'estero Le indagini del boss Messina Denaro, latitante dal 2 giugno 1993, hanno evidenziato che il capomafia ha effettuato diversi viaggi all’estero, con falsi documenti. Il latitante ha allargato i propri affari in molti Paesi. Gli investigatori hanno accertato che il boss si è recato in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia. Cosa nostra trapanese avrebbe allargato i propri interessi anche in Venezuela, dove in passato sono stati arrestati due latitanti legati a Messina Denaro, si tratta di Vincenzo Spezia e Francesco Termine. E proprio in Venezuela gli investigatori fanno emergere che vi risiede un gruppo di trapanesi che hanno storici rapporti con il latitante. I documenti falsi al boss, secondo l’accusa, sarebbero stati forniti da un pregiudicato di Roma, Domenico Nardo, di 50 anni, titolare della World Protection srl, che si occupa di bodygard nel mondo dello spettacolo. Nardo stamani è stato raggiunto da uno dei provvedimenti cautelari. L’uomo, per l’accusa, già in passato ha fornito documenti a un sicario trapanese, Raffaele Urso. Inoltre, nel 2008 avrebbe preso parte a un summit mafioso con il boss Leonardo Bonafede, anche lui arrestato oggi, nel corso del quale hanno parlato di alcuni favori da realizzare nell’interesse di Messina Denaro. 

Tutti gli arrestati I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell’Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.

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