Magistratura

Il Csm continua a coprirsi gli occhi sullo sfogatoio social dei giudici

II social sono il porto franco delle toghe

Il Csm continua a coprirsi gli occhi sullo sfogatoio social dei giudici

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Il Csm continua a coprirsi gli occhi sullo sfogatoio social dei giudici

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II social sono il porto franco delle toghe. Se per forze dell'ordine e funzionari dell'Agenzia delle Entrate ci sono regole ferree sulla comunicazione a suon di post, per i magistrati non solo non esistono, ma è pure impossibile discuterne. E, oltre il danno la beffa, chi di post ferisce viene pure premiato. È il caso di Sebastiano Mignemi, ormai prossimo alla nomina di presidente di sezione della Corte d'Appello di Catania nonostante nell'ottobre 2023 finì nella bufera per alcuni giudizi non proprio teneri nei confronti di politici del centrodestra. Qualche esempio? Il ministro Musumeci veniva etichettato come «fascista»; la premier Meloni, dopo la visita in Etiopia, veniva accostata a Mussolini mentre Berlusconi veniva definito «precursore della sostituzione etnica dai tempi della nipote di Mubark». Con tanto di refuso. Nessuna reprimenda, nessuna sanzione. Solo un mea culpa della toga hater, niente di più. Anzi, guai a insinuare rischi di imparzialità. Da tempo, qualcuno ha provato a regolamentare la questione ma con scarsi risultati. Nel 2017 il forzista Zanettin, allora componente laico del Csm, aprì una pratica per individuare delle «linee guida» e richiamare i giudici a una maggiore sobrietà nell'uso dei social. Dopo 5 anni, il Csm ha archiviato tutto con una scusa risibile: mancanza di competenza.

Oggi c'è un altro consigliere, Ernesto Carbone (foto), membro del Csm in quota Italia viva, che ci riprova. Nello scorso ottobre ha chiesto di aprire una pratica con gli stessi obiettivi.

Per adesso regna il silenzio e c'è da scommettere che anche questa volta il Csm non muoverà un dito.

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