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Mantovano: la posizione del pentito Brusca va rivista

Giovanni Brusca rischia di perdere sian i benefici che il programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia. A dirlo è il presidente della Commissione sui programmi di protezione, Alfredo Mantovano

Mantovano: la posizione del pentito Brusca va rivista

Roma - Giovanni Brusca rischia di perdere sian i benefici che il programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia. La Commissione sui programmi di protezione valuterà nuovamente la posizione di Brusca alla luce della nuova indagine sul tesoro che il pentito di mafia avrebbe occultato e riciclato. Lo annuncia lo stesso Presidente Commissione Alfredo Mantovano. "Quale presidente della Commissione sui Programmi di Protezione si legge in una nota - ho chiesto alla Direzione distrettuale antimafia una informativa dettagliata su quanto riportato dalle agenzie di stampa relativamente al collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, ai fini della valutazione della sua posizione".

Revoca del programma "In termini generali - afferma Mantovano - e prescindendo dal caso specifico, la consumazione di gravi reati dopo l’avvio della collaborazione impone la revoca del programma di protezione. Ricordo che una norma introdotta dalla legge 45/2001 impone a ogni collaboratore di giustizia che sottoscrive l’accordo che è alla base del programma di dichiarare i beni illecitamente percepiti di cui dispone, direttamente o indirettamente; tale impegno è stato assunto da Giovanni Brusca all’atto del rinnovo del suo programma, nel 2005".

Vigna: dal 41 bis si comunica "Ai tempi dell’arresto Brusca non era obbligato a rivelare tutti i beni" e per questo sarebbe possibile l’esistenza di un "tesoro" nascosto di Brusca, gestito dal carcere anche perché "nonostante i vari 41 bis si trova sempre da parte del detenuto il modo di lanciare messaggi". Lo dice intervistato da Radio 24 Pierluigi Vigna, l’ex procuratore antimafia che condusse l’interrogatorio all’allora boss del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato arrestato nel 1996. Spiega Vigna: "Nel ’96 non era entrata ancora in vigore la legge, in vigore dal 2001, che disponeva che il collaboratore dovesse indicare tutti quanti i beni che aveva a sua disposizione oppure beni che sapeva a disposizione di altri mafiosi. L’essere ammesso al programma di protezione non esclude che si possano poi fare altre indagini"." Le carceri - aggiunge Vigna - sono sempre luoghi dai quali si può trasmettere. Nonostante i vari 41 bis si trova sempre da parte del detenuto il modo di lanciare messaggi o durante i colloqui anche se avvengono attraverso un vetro, con la gestualità che è propria dei mafiosi siciliani o addirittura servendosi di qualche detenuto comune, o ancora quando si vedono nel corso delle udienze.

È vero che c’è l’interrogatorio a distanza, con mezzi telematici, attraverso la tv e così via, attraverso collegamenti tra l’aula di un udienza e il luogo dove il soggetto è detenuto, ma spesso vi sono più detenuti in coda da sentire, per cui qualche messaggino può derivare".

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