Controcultura

Messaggero, veloce e anticonformista. L'inafferrabile Mercurio è la divinità perfetta per la nostra epoca

Per i Greci era Hermes, dio senza solennità, che vive di astuzie ma inventa la poesia.

Messaggero, veloce e anticonformista. L'inafferrabile Mercurio è la divinità perfetta per la nostra epoca

Se dovessi indicare il dio greco più consono ai nostri tempi, il più presente e necessario, indicherei senza dubbio Hermes, che i Romani chiamarono Mercurio. Dio volatile, leggero, mobilissimo, sopravvive anche dove nessuno se lo aspetta, anche in tempi dove si tende, invano, a negare ogni presenza del mito. Hermes è il dio più giovane e piccolo, non ha la solennità degli dèi dell'Olimpo, vive sin dalla nascita di astuzie e di scambi: inventa la lira, e la poesia, ma ne cede il patronato ad Apollo, suo fratello maggiore, per tenere con sé gli armenti che gli ha precedentemente rubato. Non è alieno da veniali volgarità, è spudorato, dotato di arguzia che desta il riso, e capace di furti d'amore. Tanto da arrivare a possedere furtivamente Afrodite e generare da lei Ermafrodito, creatura che unisce in sé la natura maschile e quella femminile.

È un dio messaggero. Mette in contatto gli dèi con gli esseri umani, viaggiando sempre tra cielo e terra, tra visibile e invisibile. Con il suo aspetto aereo e alato, è simile tra i Greci a quello che saranno gli Angeli nel Cristianesimo e nell'Islam. Anche i Greci, quando tra diversi interlocutori cadeva improvviso un attimo di silenzio, dicevano «passa Hermes», come tra noi usava dire «passa un angelo». Protettore dei commerci, dei traffici, delle interconnessioni veloci, lontano da ogni eroismo guerriero, oggi toccherebbe a lui sorvegliare web e mercati, perché mantengano senza forzatura la loro funzione di velocizzare la comunicazione e di regolare lo scambio di beni materiali. Ma questo dio apparentemente così poco spirituale, assolve a una funzione che più spirituale non potrebbe essere, accompagna l'anima dell'uomo nel suo ultimo viaggio, è la guida verso le ombre dell'Aldilà.

Figura contraddittoria, dedito a continue metamorfosi, Hermes ha affascinato uno scrittore come Italo Calvino, che al culmine del suo Illuminismo vide dove la ragione ha bisogno di ciò che ragione non è, e chiamò Mercurio un polo, quello inventivo, ispirato, leggero, metamorfico della sua mente (l'altro lo chiamò Vulcano, il dio fabbro, il principio del lavoro di focalizzazione). Io, da sempre devoto ad Hermes, traduttore della sua più bella epifania nei versi visionari di D.H. Lawrence, ebbi la fortuna di poterne parlare con lui mentre scriveva le Lezioni Americane, prima che il dio alato venisse a prenderlo. E oggi leggo con un moto di piacere, forse di felicità, libri che hanno per oggetto Hermes, o Mercurio, e gli dedicano bellissime pagine.

Vite di Mercurio, di Alberto Savinio (edizioni Spartaco, pagg. 108, euro 14) si avvale di una prefazione di Silvio Perrella che è molto di più di una prefazione, è un esempio di come si possa entrare con forza inventiva in un autore con una tensione dove critica, narrativa e poesia mescolano, senza perderne la specificità, le loro voci. Nei racconti di Savinio, Delle cose notturne, Sogno ermetico, Ottobrata, Il gallo, Mercurio compare, facendo lievitare la pagina, sotto forma di statua vivente, di fantasma, di gallo dall'occhio di luce, e vivendo nel passaggio tra il buio e la luce, il sonno e la veglia, la vita e la morte. Con una scrittura che è insieme classica e nervosa, arcana e moderna, suadente e misteriosa. E tutta piena di leggero sapere mitico, come quando fa risalire il nome latino di Mercurio all'etrusco Mirqurios, in cui i Romani lessero una affinità con il termine merces, e gli affidarono così la protezioni dei mercanti. O come quando identifica gli dèi similari a Mercurio nel pantheon germanico, egizio, indù: Odino, Anubi, Pusan, per dire la portata planetaria dello spirito ermetico.

Il libro di Paolo Lagazzi, I volti di Hermes (Moretti & Vitali, pagg. 184, euro 24) mostra di Hermes ancora altri aspetti, il più sorprendente è quello del Trickster, del Birbante Divino, che ne fa anche il dio della magia bianca, degli incantesimi, sino a farsi protettore degli illusionisti e dei prestigiatori, come si legge in pagine deliziose su Chun Chin Fu, pseudonimo di Alberto Sitta e su Ranieri Bustelli, i maghi che nell'infanzia Lagazzi stesso frequentò ed ebbe in qualche modo maestri. Lagazzi chiarisce subito nelle densissime pagine introduttive al volume la sua personale propensione ermetica, nel bisogno di magia, sogni, azzardi, fantasie, avventure, di ispirarsi allo stile «vagabondo, mobile, acrobatico» del più imprevedibile e inventivo dio greco. Hermes è sì il Trickster, ma è anche il fantastico, l'impossibile, la natura abissale e metafisica dell'Altrove.

Nel libro, il lettore troverà pagine ispirate sulla magia del Natale, e su Apuleio, sul processo per magia che gli fu intentato, sull'Asino d'oro e la fiaba di Amore e Psiche, dove lo spirito ermetico ha gran parte. Infine Lagazzi fa materializzare l'ombra di Hermes nei poeti e scrittori che più ama, Bertolucci, Citati, non senza riferirsi a Ungaretti e al giapponese Issa e indicare le connessioni tra Hermes e il Tao.

Hermes, nelle pagine di Perrella e Savinio e in quelle di Lagazzi crea connessioni inattese, fa viaggiare, promuove inventiva e fantasia, esalta la leggerezza come velocità avventurosa e conoscenza: ditemi se questa nostra società, anche letteraria, impantanata in conformismo, ripetitività, negatività, non ne ha terribilmente bisogno.

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