Politica

In metrò con la paura come compagna di viaggio

In metrò con la paura come compagna di viaggio

Gabriele Villa

nostro inviato a Londra

Ci guardiamo. Facciamo finta di niente ma ci guardiamo l’un l’altro. Da due minuti. Che sembrano lunghi un’eternità. Un’immersione in apnea dentro una paura che da queste parti si ostinano a chiamare Tube. Siamo in 16 in questo vagone che dovrebbe mettere allegria per l’arancione vivo dei pannelli e quei triangoli multicolor che foderano i sedili. E invece non ne vedi uno che abbia voglia di sorridere. Perché la varia umanità che mi fa compagnia è troppo impegnata a scrutare chi gli sta di fronte, di fianco, dietro, per trovare anche il tempo e la voglia di sorridere. Prendete quel ragazzotto col cappellino da baseball rosso seduto sull’altro lato della carrozza. Siamo saliti assieme, consegnando svogliatamente al cassiere le nostre due sterline di inquietudine, a Blackfriars, la stazione dei frati neri. Che già il suo scampolo di notorietà nera l’ebbe a suo tempo, segnando l’epilogo giallo della vita e delle alterne fortune del banchiere Calvi.
District Line, l’arteria verde del metrò che come un parallelo taglia in due metà quasi uguali Londra e, molto democraticamente, raccoglie in parti quasi uguali turisti e uomini d’affari, studenti e impiegati. Siamo saliti assieme, dicevo. Direzione Kew Gardens-Richmond. Ci hanno ripreso, all’ingresso, da diverse angolazioni almeno sei telecamere. E hanno cominciato a scrutarci appena le sliding doors del vagone, che ci siamo trovati davanti, si sono aperte. Forse perché lui, il ragazzo dal cap rosso, scarponcini da trekking e felpa grigioblu, aveva sulle spalle uno zainetto pieno. Appena salito a bordo, quello zainetto è finito sul sedile accanto. Appoggiato al legittimo proprietario, certo. Ma lasciato sul sedile accanto. Niente di preoccupante in altri momenti, in altri luoghi. Ma quanto basta oggi per farlo diventare un passeggero antipatico, scomodo. Lui, cioè lo zainetto, come il suo legittimo proprietario. Che poi è uno di quelli che si guardano attorno più di tutti.
E vogliamo parlare di quell’altro, quello spilungone dal viso affilato che sta giusto dietro il ragazzo dal cappellino rosso. Sembra innocuo, visto così con la cuffia in testa. Tiene al massimo il volume del rock che sta ascoltando e intanto, colto da improbabile estasi, rotea gli occhi per captare anche il minimo segnale d’allarme. Insomma, uno non legge, l’altro non ascolta e per di più ostenta un’insopportabile boria. District Line. Una delle poche rimaste fuori dall’incubo. Dagli attentati di quindici giorni fa, dai quasi attentati del giorno prima, dalla misteriosa sparatoria con morto annesso di poche ore fa, alla stazione di Stockwell, linea azzurra. Temple, Westminster, St. James… Spiccioli di minuti che sembrano troppo lunghi. Appesantiti da quell’annuncio che rimbomba nella testa ad ogni fermata: «Fate attenzione ai vostri bagagli e segnalate prontamente qualsiasi pacco o involucro che possa suscitare sospetto». Lo impari a memoria in fretta quell’annuncio. Come impari a memoria un numero, lo 0800.789.321 della hot-line antiterrorismo.
Sloane Square, South Kensington… Ora siamo in tanti nel vagone arancione dopo la sosta allo snodo di Victoria Station. E borse e zainetti si sono moltiplicati. Sento parlare italiano. Mi avvicino a una famigliola appena salita a Victoria. I genitori con le loro due figlie. Abitano a Tradate, in provincia di Varese. Sono appena arrivati in aereo da Orio al Serio. Da quando sono saliti non hanno fatto altro che parlottare fra loro, cercando di conquistare un buon punto d’osservazione. «Pensi il destino - mi spiega la signora -, avevamo annullato il viaggio due settimane fa. L’agenzia ci ha fatto pagare una penale. Allora abbiamo spostato tutto a questa settimana, e proprio ieri è successo quel che è successo. Immagini con quale stato d’animo siamo qui». Non sanno ancora quello che è successo due ore prima a Stockwell. Ora cosa farete? «Siamo qui - dice Irene -, la più giovane delle due ragazze, vogliamo restarci tutta la settimana. L’abbiamo sognata tanto questa vacanza. Tutti insieme. Ripartire è come dargliela vinta a quelli. È quello che vogliono».
Un’altra compagna di viaggio è un signora con un curioso chignon sulla testa. Sta sul lato opposto del vagone e fissa un manifesto pubblicitario: «Holmes place, half price summer». Saldi. Che probabilmente non l’hanno mai interessata in vita sua, ma che oggi, in questo viaggio interminabile, sono diventati l’unico appiglio di una distrazione forzata. Ma cos’avrà da frugare nella tasche del giubbotto di pelle quel tizio non più giovane, pelle olivastra e barba curatissima? Innocuo? Chi può dirlo.

E di me, che cosa staranno dicendo di me, da quando sono salito?
Meno male che a stemperare un po’ il clima ci sono tre odiose bambine che hanno scambiato le maniglie di sostegno per liane, e si dondolano come selvagge. In un’altra occasione non le avremmo sopportate, diciamocelo. Invece adesso. Invece adesso siamo arrivati. È andata.

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