Cronaca locale

Condanne per il "presente" a Ramelli: per il giudice è colpa della "deriva sovranista"

Depositate le motivazioni delle condanne per apologia di fascismo. Per il gup l'esigenza di tutela delle istituzioni democratiche "non è stata mai attuale come nel presente momento storico, nel quale (...) si assiste ad una pericolosa deriva sovranista"

Condanne per il "presente" a Ramelli: per il giudice è colpa della "deriva sovranista"

Erano troppi e troppo emozionati i ragazzi che il 29 aprile del 2019 si sono mossi da piazzale Susa in direzione del murales che campeggia sotto casa di Sergio Ramelli, ucciso a 18 anni da un commando di Avanguardia operaia, per dare vita al rito del "presente".

Questo, in estrema sintesi, il ragionamento che ha spinto un gup di Milano a condannare a 1 mese e 10 giorni di carcere per apologia di fascismo cinque persone, tra cui anche il leader di CasaPound Italia Gianluca Iannone. Le motivazioni della sentenza, arrivata lo scorso settembre, sono state depositate recentemente. "L'evento, lungi dal configurarsi come la mera commemorazione di un defunto, aveva, ed ha sempre avuto, il precipuo scopo di porre in essere manifestazioni usuali del disciolto partito fascista e di compiere attività di proselitismo", si legge nero su bianco nei motivi che hanno portato il giudice ad applicare la legge Scelba.

"Il che - prosegue il provvedimento - emerge anche dal semplice rilievo dei numeri: mentre nel 2013 avevano partecipato alla manifestazione 600 persone, nel 2019 vi prendevano parte 1200 soggetti". "1200 persone delle diverse realtà extraparlamentari di destra riunite in modo compatto, che insieme rispondono alla chiamata del presente e alzano il braccio nel saluto romano con orgoglio ed entusiasmo, certamente creano in soggetti che si ritrovano nelle loro idee una suggestione, una forza, una evocazione del passato regime tali da rappresentare un concreto tentativo di proselitismo e, quindi, un concreto pericolo di raccogliere adesioni finalizzate alla ricostruzione di un partito fascista", argomenta il giudice.

Non ha fatto breccia la linea difensiva e il richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali, tra cui le sentenze della Cassazione penale numero 28298 e 1138 del 2016 e la 8108 del 2017, che hanno stabilito il principio secondo il quale "deve escludersi la rilevanza penale di manifestazioni quali il saluto romano, la chiamata del presente e l'uso di croci celtiche che, pur essendo certamente di carattere fascista, sono state poste in essere esclusivamente come omaggio ai defunti commemorati, non avendo alcuna finalità di restaurazione fascista".

Le sentenze citate si riferivano a giudizi relativi a passate manifestazioni in ricordo di Ramelli, quindi fattispecie identiche a quelle oggetto di giudizio. Ma allora perché stavolta le stesse condotte sarebbero da considerarsi reato? Il gup sembra rispondere nel passaggio in cui sottolinea che l'esigenza di tutela delle istituzioni democratiche "non è stata mai attuale come nel presente momento storico, nel quale episodi di intolleranza e violenza dovuti a motivi razziali sono all'ordine del giorno e si assiste ad una pericolosa deriva sovranista".

Ma un simile ragionamento non stravolge forse il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale? Non c'è il rischio di lasciar intendere che la sussistenza o meno di un reato possa dipendere dal partito che vince le elezioni nel momento in cui si celebra il processo? Una visione, questa, non proprio in linea con i valori fondanti della Costituzione italiana, pensata proprio dagli antifascisti che la scrissero per tutelare i diritti dei cittadini dalla tirannia del potere dominante.

"Non avevo alcuna aspettativa, il clima di Milano lo conosciamo tutti", ci spiega l'avvocato Simone Andrea Manelli, difensore dei cinque condannati. "Eppure proprio sul saluto romano commemorativo di Ramelli, cioè lo stesso fatto posto in essere negli anni precedenti, un orientamento della recentissima giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che in quel contesto non integra il reato contestato agli imputati poiché non ha fine propagandistico".

"Ciascuno usa le proprie lenti per fare le valutazioni, fortunatamente ci sono tre gradi di giudizio - conclude - ed avremo modo di far valere le nostre ragioni".

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