Cronaca locale

"Solo il cibo buono è salute Ma non so resistere al fritto"

Primario al Fatebene, cura i ragazzi con gli animali «Nei nostri ambulatori stare a tavola è fondamentale»

"Solo il cibo buono è salute Ma non so resistere al fritto"

Luca Bernardo è un medico, direttore del dipartimento della Medicina dell'infanzia e adolescenza del Fatebenefratelli ed esperto nazionale, per il ministero dell'Istruzione, della prevenzione del bullismo.

È sua l'idea di permettere ai pazienti, sopratutto i più giovani, di ricevere in ospedale le visite dei loro amici a quattro zampe. «Da noi c'è una stanza dedicata, questa mattina era occupata da un ragazzo con il suo Yorkshire. Applichiamo la pet terapy non solo come parte ludica e la utilizzeremo anche a favore delle vittime dei bulli».

L'importanza degli affetti, i suoi dove sono?

«La famiglia e la medicina sono i miei due grandi affetti. Ringrazio i miei genitori per dove mi trovo e mia moglie e mia figlia per la grande pazienza verso di me. Ma gli affetti ti vengono restituiti, in casa, dalle famiglie dei pazienti, dai genitori di un bimbo che nasce, dai parenti felici quando un piccolo guarisce, il miglior affetto che uno possa avere».

Milano è la nuova capitale del food?

«Assolutamente sì, è la città europea d'Italia, cresciuta negli ultimi cinque anni, con i nuovi skyline, le nuove aperture di tanti ristoranti, ma anche le vecchie trattorie e lo street food, il modo di mangiare a Milano è completo».

I suoi posti preferiti?

«I miei indirizzi sono Da Stefano in via Arimondi, il miglior tartufo della città, per il pesce A Riccione e il Gong per la cucina fusion».

Da bravo medico sarà piuttosto attento alla sana alimentazione

«Dobbiamo assumere più fibre che amidi senza deteriorare le vitamine con la cottura. Ciò che è scienza e medicina va a integrarsi con l'alimentazione corretta che può prevenire davvero alcune malattie e non solo nei giovani, ma in tutti noi».

Milano europea, e i milanesi lo sono?

«Non è vero, come dicono alcuni, che i milanesi hanno la nebbia nel cuore. La Casa Pediatrica è stata realizzata grazie alle donazioni dei privati. Anche di tanti singoli cittadini».

Per esempio?

«Ricordo una signora anziana, di periferia, venne un giorno a donare dieci euro. Sono importanti per me - mi disse - ma lo sono anche per dare un futuro ai nostri bambini».

E poi?

«È andata via felice. Commovente. Un esempio».

Che rapporto ha con il cibo?

«Sbilanciato nel senso positivo, mi piace mangiare. Se ho davanti un buon piatto di pasta o un buon pesce, mangio senza guardare la dieta. Il cibo è un peccato buono. Dà gusto, felicità, mi fa sorridere e star bene. Bello essere sazio di cose buone».

La tavola è condivisione?

«In tutti i nostri ambulatori i momenti della colazione e della cena sono fondamentali».

Perché?

«Sedersi a tavola vuol dire creare e costruire amore, ci si guarda negli occhi e ci si parla. Anche con gli amici, per lavoro o per conoscere altre etnie attraverso il cibo».

Spieghi.

«La condivisione a tavola crea persone felici. E anche il timido si lascia andare»

Il sapore dell'infanzia?

«Una cosa che abbiamo perso, i profumi della frutta. Un tempo aprivi il frigo e c'era l'odore di mandarini. Come un sommelier che prima annusa il vino, dovremmo preparare le papille gustative».

Lei di dove è?

«Sono nato e cresciuto a Milano, cucinava mia mamma, le sue lasagne e gli spaghetti all'isolana con l'olio che arrivava dal sud».

Bei ricordi.

«Mi ha insegnato a cucinare: primi, secondi, torte e biscotti. A dieci anni feci un corso di cucina in via Borgospesso, imparando a fare il presepe di dolci. I personaggi di biscotto e la glassa per fare la neve. Si usavano le mani, ma anche la testa».

Il profumo che ama in cucina?

«Quello del salame, se qualcuno ne taglia uno mi attira come un flauto magico i topolini. E poi il brodo di carne, fatto bene con patata, sedano e cipolla».

Ai fornelli o a tavola?

«Ai fornelli, mi piace andare a fare la spesa, cercare prodotti di qualità e preparare piatti come fossero quadri da assaggiare e giudicare. Accetto anche le critiche».

Una passione?

«Cucinare è un atto d'amore, verso se stessi perché si assaggia e verso gli altri».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«I fritti: le patate che piacciono tanto ai bambini ma anche mozzarelle e crocchette se fatte bene, se no meglio il digiuno».

La qualità è importante.

«Nel cibo, la qualità è sinonimo d'amore».

Il pranzo che non dimenticherà mai?

«In famiglia il Natale, il ritrovarsi con mamma e papà che ti vedono sempre come un bambino. Sentirsi ancora figli».

Lei ricorderà tante mamme dei suoi piccoli pazienti.

«E una in particolare. Un giorno cammino in viale Bligny e un bambino mi tira il cappotto, la mamma dice dottore si ricorda di me? Mio figlio era nato morto. Ricordai. Il bambino non dava segni di vita, lo rianimai e il cuore ripartì. Era lì in piedi davanti a me».

Una grande gioia.

«Mi disse Domani è il mio compleanno, la voglio con me. Andai al compleanno del bambino salvato grazie a quello che avevo imparato».

Il vino cosa le suggerisce?

«Profumo per il naso e colore per gli occhi. Bevo pochissimo, ma in America, tantissimo tempo fa, mi iscrissi, da astemio, a un corso da sommelier alla Cornell University per stare vicino a una ragazza che mi piaceva. Ci misi otto lezioni per invitarla a cena, ma ubriacai tutte le piante dell'aula».

Le regioni dove si mangia bene?

«Lombardia, Toscana, Puglia. E Sicilia».

Il suo luogo del cuore?

«Milano, un trampolino di lancio che mi ha dato carriera, professione, famiglia, amici e relazioni».

La cena romantica è un'arma vincente?

«Sì, credo che in tempi in cui la tecnologia fa dire e fare tutto ai social, sedersi a un tavolo riparato con luce e profumi particolari e il personale che ti coccola sia una soddisfazione per te e per chi hai di fronte.

Un modo per dimostrare classe, come aprire la porta ad una signora».

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