C-cultura

"Il mio film su gatti e fantasmi per raccontare il dolore e la morte"

La regista ha girato una pellicola da una favola di Edward Carey: "Per esplorare i sentimenti ho usato più mezzi, anche i Super 8 di mio padre"

"Il mio film su gatti e fantasmi per raccontare il dolore e la morte"

Ascolta ora: ""Il mio film su gatti e fantasmi per raccontare il dolore e la morte""

"Il mio film su gatti e fantasmi per raccontare il dolore e la morte"

00:00 / 00:00
100 %

La regista Elisabetta Sgarbi ha appena presentato a Milano il suo nuovo film: Gatto e la casa dei fantasmi. Ventinove minuti con l'aiuto alla regia di Eugenio Lio, la voce narrante di Tony Laudadio, i testi e i disegni di Edward Carey. Durante la pandemia, una donna torna nella casa di famiglia, deserta. Un gatto farà valere la sua presenza, entrando in casa e diventandone padrone (o lo è sempre stato?). Il gatto si rivela un tramite tra i vivi e i morti, tra la donna, Elisabetta stessa, e i suoi genitori, Rina Cavallini e Giuseppe Sgarbi. Il gatto sogna frammenti felici della vita famigliare. Di tutto questo parliamo con la regista (ed editrice della Nave di Teseo).

Come e quando nasce l'idea di Gatto?

«Nasce come nasce una fantasia musicale, da un estro, o un'esigenza, o un bisogno. E nasce da una storia vera, dal fatto che Gatto avesse davvero conosciuto i miei genitori, li aveva in qualche modo sedotti, mio padre in particolare. E poi ha continuato a circolare intorno alla casa, almeno finché, durante, il Covid, non sono arrivata io, costretta, ad abitare in quella casa, dove non stavo così tanto da quando ero ragazza. E il gatto, con mia sorpresa, ha iniziato a muoversi per la casa come se ci fosse sempre vissuto. E andava nei luoghi dei miei genitori, fissava vuoti che forse non erano vuoti».

Perché una mescolanza di linguaggi diversi per raccontare questa storia così intima?

«Il film è un racconto sulla perdita, sulla mancanza, sull'irreparabile. Certi sentimenti non è facile raccontarli. Li ho rincorsi con più mezzi, dalla letteratura alla fotografia, fino ai Super 8, che ho ritrovato, che aveva girato mio padre. Ho immaginato che Gatto sognasse in Super 8, e sognasse noi».

Come è stato lavorare con Edward Carey?

«È una persona straordinaria, oltre che uno scrittore straordinario. Ha inventato una storia vera, con una fantasia e una precisione assolute. Lo pubblico e conosco dal suo capolavoro, Observatory Mansion, un romanzo bellissimo. E in autunno uscirà il nuovo romanzo, un omaggio al teatro, un romanzo gotico, Edith Holler».

In che senso il gatto è una presenza divina?

«Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e l'orrore delle tenebre (...) come sabbia fine scintillano vagamente le loro pupille mistiche. Lo scrive Baudelaire che l'aiuto regista Eugenio Lio cita sempre. È sensazione di chiunque abbia avuto a che fare con i gatti».

Il gatto è il tramite tra la donna del film e i suoi genitori morti: dunque, esiste un aldilà?

«L'aldilà siamo noi senza tutte le perdite che subiamo nella nostra vita».

Il gatto è una figura letteraria. Quale sente vicina alla sua interpretazione?

«Patricia Highsmith, per esempio. Ma il mistero delle sue pupille ha attratto molti, grandi scrittori. E anche oggi continuano a essere una fonte di ispirazione per libri pop, scientifici e letterari. Anche Edward Carey con i suoi disegni e con questa favola intitolata Gatto e la casa dei fantasmi oggi ne è un cantore. Il suo testo è superiore.

Ha raccontato con l'invenzione una favola vera».

Commenti