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Ucraina verso l'Ue? Ecco quali sono le "trappole"

Il Consiglio Europeo ha mandato un messaggio preciso agli Stati membri, ai nuovi candidati e a Mosca. Ma dietro le regole e i simboli, si nascondono insidie da non sottovalutare. E l'Ue ha già dimostrato di essere fragile

Ucraina verso l'Ue? Ecco quali sono le trappole

La mossa del Consiglio Europeo è stata salutata come un momento storico. Per i leader Ue, il riconoscimento dello status di candidato a Moldavia e Ucraina è un passaggio fondamentale, un simbolo di una riscossa dei valori europei nel momento in cui la guerra entra ormai nel quarto mese e le armi non sembrano destinate a tacere nel breve termine.

La decisione di approvare lo status di candidato per queste due realtà così complesse - una sottoposta all'invasione di Mosca, l'altra a rischio e con una regione filorussa al suo interno - è certamente un segnale preciso che indica la direzione europeista intrapresa da tutti i 27 Stati membri. Un messaggio che per Kiev e Chisinau significa vedere riconosciuta una vicinanza di Bruxelles e dei singoli partner Ue che appariva ancora priva di vincoli politici.

Tuttavia, dietro le regole e le trattive che hanno permesso di approvare in tempi così rapidi lo status per i due Paesi dell'Europa orientale, si nascondono trappole di non poco conto che non devono far confondere il simbolismo del gesto Ue con il peso specifico di questa mossa nei delicati equilibri europei.

Una premessa è d'obbligo. L'approvazione dello status di candidato è un primissimo step di un processo lungo e necessariamente complesso. Necessariamente perché la rigidità di certe regole per l'ingresso in Europa è una garanzia di efficacia nell'integrazione economica e politica non può essere considerata secondaria. Il tempo varia da caso a caso, ogni Paese è un sistema a parte, ma è indicativo il fatto che da Parigi abbiano parlato di molti anni prima che l'Ucraina possa ritenersi idonea a far parte dell'Ue. Indizio di come il semaforo verde di ieri notte sia un primo passaggio molto aleatorio e dal valore più simbolico. Esempi in questo senso non mancano: basti pensare alla Turchia, alla Serbia o all'Albania, che da tempo sono riconosciuti come candidati senza però avere ricevuto alcun placet per accelerare nell'ingresso in Ue.

Proprio a questo proposito, è interessante sottolineare come siano in molti, tra questi candidati, a guardare con sospetto al supporto ricevuto da Ucraina e Moldavia (oltre alla Georgia) per il processo di candidatura. I Balcani occidentali, che da tempo aspettano una svolta in positivo per l'accoglimento in Europa, non sembrano avere apprezzato la vicinanza dimostrata nei confronti di Kiev. E questo potrebbe provocare una serie di frizioni che, specie per quanto riguarda i Paesi più irrequieti, potrebbe avere ripercussioni sui rapporti con l'Ue. In questi casi le trattative ricordano dei complessi mosaici in cui ogni tessere deve essere al proprio posto per fornire uno scenario nitido e corretto. Non a caso La Stampa ha parlato di "rivolta balcana".

C'è poi un altro punto interrogativo, e cioè quanto la scelta di sostenere la candidatura di Kiev sia capace di produrre effetti positivi sia per l'Europa che per l'Ucraina. Dal punto di vista europeo, la fragilità dimostrata dai suoi leader in questo momento di crisi e la mancanza di sinergia su diverse questioni anche molto urgenti ha conferito ancora una volta l'immagine di un'Ue paralizzata e capace solo di mosse simboliche ma inefficaci. L'allargamento a nuovi Paesi senza una compattezza dello "zoccolo duro" rischia di trasformare lo slancio verso l'ampliamento a Paesi più deboli in un pericoloso "ovestretching" senza capacità di attutire il colpo dell'ampliamento. La coesione è un valore che da tempo l'Ue ha fatto capire di non avere tra i suoi pilastri.

Inoltre, per quanto riguarda il nodo ucraino, esistono problemi che non lasciano in alcun modo intendere che il processo Ue sia semplice e davvero foriero di un ingresso. Il Paese è in parte occupato da forze nemiche, il governo non riesce a imporre la propria autorità su aree ritenute a tutti gli effetti contese, e la guerra non si ha idea di quando possa finire. Infine, a prescindere dal conflitto scatenato dalla Russia, esistono una serie di deficit strutturali di Kiev che rendono arduo credere che nel dopoguerra il governo possa ripianare il divario con il sistema europeo. Questioni che esistevano prima della guerra e che esisteranno, forse anche in maniera più accentuata, proprio dopo il conflitto. Senza territori definiti, senza un'economia in grado di stabilizzarsi, senza un sistema giudiziario e politico idoneo agli standard richiesti da Bruxelles, l'adesione appare un miraggio per cui lo status di candidato può esser eletto solo come un messaggio simbolico.

E nel frattempo, chi cerca di entrare in Ue da anni, potrebbe non essere così contento di essere scavalcato da altri.

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