Spettacoli

Morta Adriana Mascagni, ricchissima "Povera voce"

Ieri ci ha lasciato Adriana Mascagni. Il suo nome può essere sconosciuto a molti, ma ciò che ha dato al mondo è grande e non si potrà sostituire. Discendente del compositore livornese autore della Cavalleria rusticana, ha composto e cantato alcune tra le canzoni più note al mondo. Credo, senza esagerare, che il suo capolavoro, Povera voce, sia stata e sia cantata nel mondo quanto se non più di Volare o di Yesterday. Ma lei non si è fatta conoscere attraverso il mercato o i media, bensì per un contagio naturale, per la verità delle sue parole e l'eleganza assorta, lucida e discreta delle sue melodie.

Per qualche tempo i rapporti tra noi e con il suo carissimo marito, Peppino Zola, sono stati molto stretti, poi la vita - senza che fosse accaduto nulla di particolare - ha reso i nostri contatti meno frequenti. Ma è sempre rimasta la gratitudine.

Nate da un'esperienza cristiana potentissima, grazie all'amicizia con l'ancora giovane don Luigi Giussani, le sue canzoni si adattano alla liturgia senza però essere canzoni liturgiche. Al loro centro c'è sempre il mistero mai risolto, mai definito una volta per tutte, della natura dell'uomo e del suo rapporto con l'assoluto. L'uomo confuso che si rivolge a Dio rinasce, dice una sua canzone, «come il tempo dal ricordo». Se tante sue canzoni e preghiere sono poi state adottate nella liturgia della Chiesa in tutto il mondo è stato, io credo, perché lo spirito profondo, umano della liturgia celebra lo stesso mistero.

Povera voce è un inno universale. È certamente la canzone più celebre nata dalla vita di CL, ma come tutto ciò che è vero oltrepassa l'ambito sociologico della sua nascita: celebra questa nascita rivelando il suo valore universale. Tutte le esperienze umane diventano vere quando, rischiando sé stesse, si presentano al mondo. Così è stato per questa importante artista milanese.

Chi ci ha dato qualcosa d'importante non se ne va senza lasciarci un compito.

Quello che Adriana lascia a me si può riassumere così: un uomo conosce sé stesso solo se è in ascolto di ciò che gli giunge dal mondo, dalle persone, dalla vita, dagli alberi, dal mare, dal sole, dalle montagne, insomma da tutto ciò che ci viene da «fuori» di noi, e che è la voce - il segno - di Chi è più grande di noi. Una voce sempre drammatica ma mai disperata. Grazie, Adriana.

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