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Lo stupro, le chat dell'orrore e la spedizione punitiva: dal branco di Palermo nessun rimorso

Quattro dei sette ragazzi volevano vendicarsi sulla vittima della violenza, dopo avere appreso che i primi tre giovani erano stati arrestati dai carabinieri: "Le dò una testata nel naso"

Lo stupro, le chat dell'orrore e la spedizione punitiva: dal branco di Palermo nessun rimorso

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Lo stupro, le chat dell'orrore e la spedizione punitiva: dal branco di Palermo nessun rimorso

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"Le dò una testata e le chiudo il naso", una frase terribile ma che inquadra perfettamente la situazione che si è verificata la notte tra il 6 e il 7 luglio a Palermo. Tra le intercettazioni al gruppo di 7 ragazzi, che hanno violentato a Palermo una loro coetanea di 19 anni, emergono nuovi inquietanti dettagli. Il gip nell'ordinanza di custodia cautelare la definisce "volontà punitiva nei confronti della persona offesa". Una volontà che si aggiunge alle minacce fatte giungere alla ragazza affinché non rivelasse quanto accaduto al Foro Italico. I carabinieri, su ordine della Procura della Repubblica guidata da Maurizio de Lucia, dopo i primi arresti convocano due dei sette ragazzi che erano a piede libero. I due discutono del rischio su chi avesse fatto i loro nomi e quali potessero essere le conseguenze.

Le chat dell'orrore

Su WhatsApp uno degli indagati scrive: "Ti giuro stasera mi giro tutta la via Libertà e mi porto la denuncia nella borsetta...gli dico guarda che cosa mi hai fatto e poi gli do una testata nel naso. Già che è tutta aperta gli chiudo le narici, gli chiudo con una testata". Il gip Andrea Innocenti rimarca che si tratterebbe di"una chiara volontà punitiva verso la ragazza, col fine di colpevolizzarla per la denuncia sporta". L’idea di una spedizione punitiva era venuta a due dei quattro finiti in manette soltanto venerdì scorso, dopo che gli altri tre complici erano stati arrestati lo scorso 3 agosto, e quindi tre settimane dopo la notte dell'orrore lo scorso 7 luglio al Foro Italico. I carabinieri, proprio in questa data, hanno intercettato due degli indagati, fino ad allora a piede libero. Da lì l'idea di una vendetta punitiva nei confronti della ragazza, proprio dopo l'arresto dei primi quattro ragazzi indicati dalla vittima con nomi e cognome.

Prima la violenza poi la cena

È da poco passata l'una di notte del 7 luglio. Nel racconto agli inquirenti, la vittima racconta quei terribili minuti di oppressa violenza. Sette ragazzi contro una sola persona, alcuni di loro la costringono ad un rapporto orale, mentre altri la abusavano da dietro. Dopo lo stupro, i ragazzi hanno abbandonato la vittima per strada, lei cade una prima volta a terra, si rialza e riesce a chiamare il suo fidanzato poi crolla a terra di nuovo. Dirà soltanto: "E' successa una cosa brutta, ho bisogno di un'ambulanza". La ragazza resta a terra confusa e livida, la telefonata si interrompe immediatamente. "I ragazzi mi hanno preso il telefono e chiuso la chiamata. Poi mi hanno rivestita, mi hanno presa sottobraccio e accompagnato in strada e si sono allontanati. Sono rimasta sola - dice ancora - e mi sono distesa su un muretto. Due ragazze vedendomi in quelle condizioni mi hanno chiesto cosa avessi e io chiedevo loro di chiamare il mio ragazzo". Subito dopo una delle ragazze richiama il fidanzato della vittima e attende l'ambulanza. Intanto i ragazzi vanno via. Decidono di dividersi, quattro di loro decidono di andare in una famosa rosticceria della Cala, a pochi metri dal luogo della violenza. Le telecamere di videosorveglianza dell'attività commerciali li riprenderanno mentre mangiano un pezzo.

La totale assenza di rimorso

Dalle intercettazioni telefoniche vengono fuori due fattori determinanti: la spregiudicatezza del gruppo e l’assoluta mancanza di rimorso degli indagati. I filmati sono stati importanti per l'identificazione degli indagati e dimostrano anche come dopo aver commesso un atto del genere non si siano preoccupati delle condizioni della ragazza: "con violenza estrema e gratuita ai danni di una vittima inerme, trattata come un oggetto, senza alcuna pietà per le sue richieste di aiuto e cura, anzi schernita (alle sue richieste di smettere veniva risposto in dialetto siciliano: 'Amunì ca ti piace')".

Il procuratore dei minori di Palermo, Claudia Caramanna, che ha fondato l'analisi sull'aspetto sociale dice: "si tratta di ragazzi provenienti non da famiglie poco benestanti, da condizioni di indigenza o di semi delinquenza, ma dalla media borghesia. Sono ragazzi a cui manca qualcosa sul piano educativo, dei valori e dei comportamenti".

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