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Tutti al museo della Liberazione. Il grande bluff di Repubblica

Un reportage racconta il boom di visite al museo di Roma. In realtà sono solo i prof a portare lì gli studenti

Tutti al museo della Liberazione. Il grande bluff di Repubblica

Già le immaginavo le file di italiani davanti al museo della Liberazione di Roma. Migliaia (che dico migliaia?) milioni di cittadini che, più o meno diligentemente, attendono di entrare nell'edificio di via Tasso per conoscere le gloriose imprese dei partigiani. Del resto, il titolo di Repubblica aveva promesso molto: Record di ingressi al museo della Liberazione. "È un pellegrinaggio civile". Leggo però il testo e rimango deluso. Molto deluso. Non trovo racconti di "pellegrini" in attesa. Non trovo nessuno con il pranzo al sacco portato da casa per resistere alla fame mentre attende di entrare al museo. Nessuna spilla dei Gap da appuntarsi sul bavero, a mo' di conchiglia di Santiago, una volta finita la visita. Niente di niente.

E un po' mi spiace perché il bluff di Repubblica viene svelato praticamente subito: "Le scuole si presentano 'a valanga', rivela il presidente del museo della Liberazione Antonio Parisella proprio mentre la destra piccona la Resistenza. Un pellegrinaggio civile, 'animato spesso da giovani docenti ex precari dotati di spirito d'iniziativa'".

Come dire: sono i professori (anzi, gli ex professori) a portare lì gli studenti che, come è noto, preferiscono stare in qualsiasi altro luogo rispetto a un'aula scolastica. Vado avanti a leggere, convinto che più avanti Repubblica mi racconterà di più di questa massa umana. Niente. Trovo solo riferimenti storici (come è giusto che sia tremendi) su quanto accaduto all'interno del palazzo appartenuto alla famiglia Ruspoli: "Le celle stringono il cuore. Come quella minuscola dove venne rinchiuso il comandante del Fronte militare clandestino, Giuseppe Cordero di Montezemolo, poi fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine. Alcuni del Poizeiregiment Bozen, che trovarono la morte nell'attentato di via Rasella, fecero i piantoni qui. Un demografo ha calcolato che i prigionieri furono duemila, tra cui trecento donne. L'unica ancora in vita, la partigiana Iole Mancini, ha 103 anni. Nel maggio del 1944, con gli americani alle porte, ce ne erano ancora 261".

Poi poco o nulla. Solo beghe più o meno politiche riguardo i finanziamenti e gli aiuti (che non arrivano) dallo Stato. Della fiumana umana nulla. E mi spiace. Perché ci sarebbe molto da raccontare sugli anni della Resistenza e sarebbe bello parlarne apertamente.

Sia per quanto riguarda le luci (Salvo D'Acquisto, per esempio) sia le ombre (il triangolo della morte in Emilia, solo per citarne uno).

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