Spettacoli

Nel nuovo libro nero della sinistra la lotta di classe diventa lotta di genere

Il maschio è il borghese mentre la donna è il proletariato. Un saggio spiega perché

Pellegrina Pirani, Ersilia Majno Bronzino, Elisa Boschetti e Anna Celli (1905)
Pellegrina Pirani, Ersilia Majno Bronzino, Elisa Boschetti e Anna Celli (1905)

Nella società adolescenziale, quella che si culla nel neocomunismo e in un progressismo culturale che domina non solo l'agenda politica ma tutta la mentalità occidentale, c'è un'unica regola: «il nuovo è buono, il vecchio è cattivo».

Ad articolare in maniera coerente questa tesi attraverso un lavoro che non occhieggia ad accomodamenti di alcun tipo sono gli argentini Nicolás Marquez e Agustín Laje ne Il libro nero della Nuova Sinistra. Ideologia di genere o sovversione culturale (Eclettica, p. 270).

Obiettivo mirato è quell'avanguardia militante che non dissimula le sue intenzioni egemoniche sulla società anche se astutamente le ammanta dietro slogan nobili come l'egualitarismo, l'inclusione, la diversità, i diritti delle minoranze, l'ecologismo, il femminismo, l'omosessualismo.

Slogan che fanno risaltare il principio dell'autopercezione come misura di tutta la realtà possibile, dove i desideri del singolo corrispondono a diritti e «la diversità progredisce semplicemente perché possiamo tingerci i capelli di verde, sentirci nel corpo sbagliato o andare a letto con qualcuno dello stesso sesso e celebrarlo (come una grande impresa) per un mese intero ogni anno». E fin qui, nulla di nuovo. Sembra infatti di risentire i moniti post sessantottini di Prezzolini: «per essere moderni non occorre scrivere in modo da non essere intesi; per protestare contro le ingiustizie sociali non si devon portare i capelli lunghi e la biancheria sporca; per provar l'uguaglianza dei sessi non è necessario che si invertano i sessi».

Tuttavia, siamo molto più avanti di quanto si potesse immaginare solo un paio di decenni addietro. Viviamo un tempo nel quale la verità spacciata dai soloni del Pensiero Unico pare essere l'unica possibile. L'ideologia di genere, con le sue diverse varianti, è diventata cardine e paradigma intorno cui gira ogni azione politica e gran parte del dibattito pubblico, volto presentabile con cui si manifesta questo roboante (ma falso!) inno al pluralismo e alla diversità. È infatti evidente lo sfasamento e la falsificazione di una realtà oggettiva che vede le donne come le vere vittime dell'ideologia gender, nonostante questo fronte culturale reputi la società attuale organizzata intorno ad una «cultura etero-normativa e patriarcale» e continui a collocare gli uomini sul fronte del nemico assoluto.

Ma cosa c'entra tutto questo col comunismo? Marquez e Laje hanno ben ragione a sostenere che i miti della sinistra contemporanea, pur talora abbracciando in parte richieste lecite, sarebbero solo una evoluzione di vecchie parole d'ordine. Alle desuete concezioni economicistiche fondate sulla lotta di classe e che, oramai, non avrebbero più alcuna presa pubblica, è stato furbescamente aggregato un nuovo artificioso indottrinamento, sostenuto da una martellante propaganda mediatica, supportato dall'alta finanza, dalle multinazionali, da potenti centri di potere pubblico e privato e agevolato da una spaventosa semplificazione orwelliana del linguaggio di cui ne vediamo gli stilemi nell'ondata di finta inclusività che propagano piattaforme come Netflix, Amazon o la stessa Disney.

Dunque, di inedito poco o nulla visto che è da più di un secolo che, spesso con ragione, il femminismo reclama diritti civili e politici per la donna. Tuttavia, questa sorta di neo-marxismo ha traslato i piani di lettura. Se Engels e Marx avevano sostenuto che le ragioni dei problemi delle donne fossero tutte da incanalare nella questione dello sfruttamento tra le classi a causa dell'esistenza della proprietà privata, ora si è giunti al paradosso di aggiornare la nozione di un conflitto irrisolvibile tra i sessi riportando in auge la vecchia tesi di Engels secondo la quale «l'uomo è il borghese e la donna il proletariato»

Seguendo questa azzardata linea teorica si sono però moltiplicati a dismisura e deformati tutti i piani metaforici. Dalla genesi del femminismo ad oggi, abbiamo assistito a varie ondate di proteste. Dall'origine, in cui si reclamavano diritti di cittadinanza e si manifestava preoccupazione per il posto occupato dalla donna, siamo giunti all'ondata queer che vuole imporre modelli di società che non tengano conto dell'interesse dei figli e fagocitare il dissenso costringendolo nella sanzione penale. Ma abbiamo assistito anche alla alterazione dei significati e degli antichi simboli. Se nei paesi comunisti il trattamento riservato alle donne era sempre pessimo, in Cina gli omosessuali venivano castrati, Che Guevara li inviava ai lavori forzati e i sovietici in Siberia, la nuova sinistra marcia con le bandiere rosse e quelle con l'effigie del Che nelle manifestazioni del Gay Pride. Questo, però, attiene ai simboli.

Per Márquez e Laje il passaggio decisivo è avvenuto quando il classismo si è trasformato in una strategia culturalista ad ampio raggio, che ha sorpreso tutti e che, per essere contrastata, necessita di cittadini che mettano in conto di sporcarsi nel fango del politicamente corretto e di venire perseguitati.

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