Cultura e Spettacoli

Non comprate cioccolatini marca Cioran

O gni volta che regalavo un Cioran, per esempio L’inconveniente di essere nati o Squartamento, da molto tempo avevo l’impressione di regalare una cravattina firmata. A differenza di Nietzsche e di Valéry, dai quali inevitabilmente discende, e dello Zibaldone di Leopardi, in genere Emil Cioran lo si legge quasi tutto e una volta sola.
Ovviamente il pensatore romeno è attraente e non smette di attrarre falene notturne, e in Italia non c’è solo Ceronetti-Cioranetti che in genere lo chiosa e lo imita per Adelphi, ora c’è anche Antonio Castronovo, raffinato e riservato intellettuale che ogni sei mesi pubblica un libro bello per un editore piccolo, spaziando dai suicidi d’autore alle macchine fantastiche, da un’appassionante storia della ghigliottina (La vedova allegra, uscito per Stampa Alternativa) a studi e saggi su «libertini, nichilisti, gnosticismi e avanguardie», fino all’ultimo, Emil Michel Cioran, edito da Liguori. Il libro di Castronovo è un piccolo e essenziale manuale di cioranismo, leggendolo mi è tornato su tutto il Cioran mandato giù un paio di decenni fa, quando Emil mi sembrava un genio, prima che Aldo Busi mi mettesse una pulce nell’orecchio definendolo un filosofo da Baci Perugina, ossia un autore di opere che, se fosse stato uno scrittore, sarebbero state solo gli avanzi a fronte delle vere opere d’arte. Castronovo giustamente lo inserisce fra i grandi moralisti classici, da La Rochefoucault a La Bruyère (amati da Cioran), secondo la definizione altrettanto classica di Giovanni Macchia: «Il moralista non si applica, con furore simmetrico, alla costruzione di un mondo di pensiero: si limita a notare la contraddittorietà dell’esistere, le luci e le ombre di tutto ciò che ha sotto gli occhi». L’effetto Cioran sul lettore che lo scopre è un entusiasmo immediato, non per altro ha sempre avuto molto successo tra i giovani (gli stessi che dalla sponda ottimistica leggono Hesse), gli aforismi riusciti sono come le canzoni più orecchiabili, entrano subito e però altrettanto facilmente annoiano. Il testo produce citazioni ma le citazioni non fanno mai davvero un testo, è la disgrazia dei testi fatti solo di citazioni. E quindi, nella passerella di ogni libro di Cioran, nella retorica autoassolutoria del frammentismo, sfilano la filosofia dell’antifilosofia («Antifilosofo quale sono...»), l’ideologia dell’anti-ideologia («Quando guardo le idee mi sembrano ancora più inutili delle cose»), l’esistenzialismo anti-esistenzialista («Non sono esistenzialista...»), la scrittura della non scrittura («Scrivo per terapia...»), l’anticristianesimo che sta al cristianesimo come i comunisti ai fascisti (o viceversa) e l’autointervista perenne, dove perfino sull’idea del suicidio ci si impantana nel solito birignao, si è a favore del suicidio ma anche non, perché: «Occorre sapere che lo si può fare. L’idea è esaltante, ti permette di sopportare qualsiasi cosa. È uno dei grandi vantaggi che siano mai stati dati all’uomo. Io non sono per il suicidio. Sono soltanto per l’utilità di questa idea». A una seconda lettura Cioran mostra sempre le corde sfilacciate della posa e della sfilata di moda, è il prêt-à-porter del «nulla» pieno di sé (e negato, ci mancherebbe: «Io non sono nichilista...»), il maledettismo paraculo al servizio del suo contrario, e sarà anche vero che «l’ontologia di Cioran ha una struttura capovolta, sorge dall’osservazione del baratro e non delle sfere celesti», e però la zuppa è la stessa capovolta (e neppure troppo, incardinata com’è sugli stessi concettini di alto/basso), e ormai si sa, quando Emil scrive «Dio» in fondo è ontologicamente più cattolico di Ratzinger. Ha ragione Cioran, «un libro deve essere un pericolo», quindi il vero squartamento lo provate aprendo un libro di paleoantropologia, di genetica, o di biologia evolutiva, lì non c’è scampo, e alla fine imparate davvero qualcosa. Materie in cui i letterati e gli artisti non sono mai stati molto ferrati, sempre impastoiati in convinzioni vetero-romantiche come l’anima e lo spirito. Quasi che l’arte e la verità debbano essere in antitesi (eppure cosa sarebbe stata la Recherche se Proust non avesse letto Darwin?).

Ecco perché a Natale, di cui da non cristiano festeggio solo il senso consumistico, volendo donare abissi quest’anno regalo Juan Luis Arsuaga, Max Delbrück, Sean B. Carrol, Jacques Monod, al limite il caro vecchio barone Paul Thiry d’Holbac, ma basta cravatte Cioran.

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