Arte

La (nuova) arte di Michael Stipe

Il cantante dei Rem inaugura la sua prima mostra, ispirata ai versi di Max Ehrmann

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Michael Stipe, il cantante dei Rem, la band americana adorata da almeno tre generazioni tra gli anni Ottanta fino al doloroso (per i fan) scioglimento del 2011, contraddice tutti gli stereotipi delle rockstar: è dolce, empatico, comunicativo, disponibile. Lo abbiamo incontrato a Milano qualche giorno fa nelle inedite vesti di artista. Come ha anticipato il New York Times, Stipe sta rifinendo le ultime battute del suo primo album da solista, che ascolteremo forse nel 2024, ma la novità è un'altra: Michael Stipe ha scelto il nostro Paese, e Milano in particolare, per presentare per la prima volta al mondo la sua arte. I have lost and I have been lost but for now I'm flying high («Ho perso e mi sono perso ma per ora sto volando alto», titolo lungo e poetico) è la sua prima mostra personale, che da domani e fino al 16 marzo possiamo vedere allestita negli spazi ruvidi ed ex industriali della Fondazione Ica, interessante no profit diretta da Alberto Salvadori a pochi passi dalla golden Torre di Prada. Ica promuove progetti di ricerca sull'arte contemporanea, è gratis, è aperta a tutti e Salvadori è amico di Stipe: è nata così, da una serie di fortunati eventi, questa mostra di centoventi opere, tra cui molte fotografie in bianco e nero, grandi installazioni colorate, sculture in gesso, oggetti ricamati che ritraggono l'universo di affetti dell'arista (la madre, la sorella, il compagno di una vita, gli amici).

Stipe, che ha studiato arte al college e che nei lavori cita come modelli Constantin Brancusi, Marisa Merz e Bruce Nauman, ci regala una seconda fase Rem di grande fascino. «Preparare questa mostra mi ha dato la stessa scarica di adrenalina di un concerto» ci ha detto. Nel titolo e nei temi si è dichiaratamente ispirato ai versi di Desiderata, poesia del '27 di Max Ehrmann: «Era un mito della mia adolescenza, negli anni Novanta è stata snaturata da certi guru motivazionali: ho voluto proporla alle nuove generazioni nella sua forza originaria.

Ci parla della nostra intrinseca vulnerabilità, che per me non è un difetto, ma un superpotere: aiuta a riconoscersi per quel che si è spiega Stipe - Nonostante tutto quello che sta succedendo nel mondo, resto un ottimista e questa mostra rappresenta la mia ricerca di qualcosa di positivo, di qualcosa che somigli a una speranza».

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