Economia

Opec, due milioni di barili in più Ma il petrolio vola a 67 dollari

Rodolfo Parietti

da Milano

La formula che nelle lussuose suite dell’Intercontinental di Vienna sta maturando tra i signori del petrolio, è quanto di più fedele alla tradizione di ambiguità che da 45 anni accompagna le decisioni dell’Opec. Per contrastare la febbre da greggio che da mesi attanaglia il mondo industrializzato, il Cartello vuole infatti mettere a disposizione due milioni di barili al giorno in più, ma solo «se il mercato ne farà richiesta».
Insomma, non un aumento vero e proprio della quota di produzione ufficiale, che resterebbe bloccata a 28 milioni di barili al giorno, ma una sorta di lasciapassare con cui si accorda ai singoli Paesi membri il potere discrezionale di vendere petrolio in base alla capacità produttiva. In realtà, se si considera che secondo alcune stime attendibili l’Opec sta già pompando quasi 30,4 milioni di barili, i due milioni in più promessi sono un’operazione di facciata. Neppure efficace, vista la reazione di ieri dei mercati, troppo preoccupati delle possibili conseguenze dell’uragano Rita per prestare attenzione al vertice austriaco. A New York i future sono così tornati a 67,39 dollari (più 7%), con un balzo di quattro dollari rispetto a venerdì.
Gli analisti sono del resto scettici sulle possibilità che la decisione Opec, la cui ufficializzazione è attesa per oggi, possa condizionare i prezzi. Da parte sua, il Cartello sostiene da tempo che i mercati non soffrono di una carenza di offerta. La scorsa settimana, l’Opec ha ridotto di 160mila barili al giorno le stime sulla richiesta 2005 di greggio, ora attestata a quota 83,5 milioni, ma ieri il commissario Ue all’Energia, Andris Piebalgs, ha comunque fatto presente al presidente dell’organizzazione, il kuwaitiano al-Sabah, «l’importanza di assicurare che l’offerta sia sufficiente».
L’escamotage individuato sembra aver trovato d’accordo sia i Paesi contrari a qualsiasi intervento sull’output, sia quelli favorevoli ad alzare i tetti produttivi. È il solito duello tra falchi e colombe che si rinnova a ogni summit, con l’Arabia Saudita che si è subito dichiarata disponibile a soddisfare la sete mondiale di petrolio. Ryad potrebbe così portare la produzione da 9,5 a 11 milioni.
L’Opec si è però resa conto che è anche la strozzatura nella raffinazione ad aver determinato l’ascesa dei prezzi.

Da qui gli investimenti in cantiere che riguarderanno il Kuwait, in trattative con il governo americano per la costruzione di un impianto negli Stati Uniti, mentre il Qatar ha annunciato di voler investire 1,8 miliardi di dollari per triplicare entro il 2010 la propria capacità di raffinazione. L’Arabia Saudita, infine, potrebbe costruire un impianto domestico riservato all’export e potenziare la raffineria di Port Athur, nel Texas.

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