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Ora e sempre: "Memento Gulag"

Ecco perché è fondamentale una giornata per ricordare i crimini del comunismo

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Memento Gulag: chi era costui? Semplice, una giornata della memoria dedicata alle vittime del comunismo. Fissata oggi, 7 novembre, per ricordare il lugubre anniversario della Rivoluzione d'Ottobre (chiamata così secondo il calendario giuliano allora usato in Russia), dovrebbe essere celebrata con solennità pari alle altre: invece viene spesso ignorata. (Anni fa, una manina maliziosa pensò bene di cancellarla persino dalle voci di Wikipedia, prima che un articolo tempestivo apparso su questo giornale rimettesse le cose a posto).

Come mai una simile congiura del silenzio? La prima, ovvia spiegazione è che nessun Paese europeo, compresa l'Italia, ha pensato finora di elevarla a celebrazione ufficiale. Poiché precede di due giorni la festa della Libertà per la caduta del Muro di Berlino, se venisse ricordata assumerebbe un più elevato significato simbolico, illustrando il prezzo pagato in tutto il mondo per ottenere quella vittoria (secondo calcoli approssimativi, dagli 80 ai 200 milioni furono le vittime). Il «Memento Gulag» è nato per iniziativa di alcuni intellettuali raccolti attorno alla figura di Vladimir Bukovskij, uno degli irriducibili dissidenti antisovietici: quando parlava dei lager comunisti, si rifaceva ad agghiaccianti esperienze personali. A partire dai primi anni duemila le celebrazioni sono state numerose, da Roma a Berlino, da Bucarest a Parigi, e arricchite dalle testimonianze dirette di molti reduci dai campi di concentramento. Ma, si sa, anche i migliori non vivono in eterno, per cui la loro progressiva scomparsa ha ridotto il richiamo dell'evento. Però il silenzio ha anche altre spiegazioni.

Lo stigma del genocidio impedisce, è vero, alla stragrande maggioranza dei cittadini europei di proclamarsi oggi apertamente, o nostalgicamente, o almeno in parte e idealmente, comunisti. Tuttavia non pochi restano legati a quella mentalità e ideologia. A loro favore lavora, naturalmente, il tempo e il cambio delle generazioni: agli occhi di chi ha sentito parlare dell'Urss e della Guerra fredda soltanto nei libri di storia, o al massimo ha intravisto vecchi documentari con le sfilate di carri armati sulla Piazza Rossa il 7 novembre, il comunismo può sembrare contemporaneo delle guerre puniche. E qui sta l'errore.

Come ogni ideologia totalitaria, il comunismo non smette di fare proseliti e affascinare, anche dopo il suo apparente e ufficiale decesso. Inoltre, anche se lo si ricorda raramente, una larga fetta dell'umanità continua a sperimentarlo sulla propria pelle. Perché si è evoluto e ibridato con altre ideologie e culture, ritrovando così in pieno la sua forza di penetrazione. Se a Mosca la nostalgia per il comunismo sovietico e per Stalin (ormai riabilitato) si combina con il culto imperiale nazionalistico («dove c'è etnia russa e si parla la lingua, là c'è la Russia»), nella vicina e vassalla Bielorussia di Lukashenko non si va tanto per il sottile: le statue di Lenin dominano le piazze. La vecchia polizia segreta si chiama ancora Kgb, e la statua di Feliks Dzerinskij, il vecchio capo, se ne sta nel centro di Minsk come perenne ammonimento. Quanto alla Cina, il nome del comunismo è negli slogan ufficiali, e il regime si regge su una combinazione di marxismo confuciano (che fa discendere l'autorità dal cielo) e di tecnologia avanzatissima, in grado di tenere sotto controllo i cittadini attraverso una griglia informatica onnipresente. Non parliamo poi della Corea del Nord, dove è in vigore una specie radicale di comunismo asiatico, basata sulla forza della razza e della sua purezza: la società è divisa in 51 classi in base alla discendenza e al grado di pericolosità verso il regime. In altri continenti, come l'America latina, il pugno di ferro del comunismo è più elastico: a Cuba può abbattersi su chiunque, in seguito alla segnalazione di una spia di condominio, ma può anche rimanere in sonno a lungo. Cosa che non succede invece in Nicaragua, dove il regine di Daniel Ortega sa dove colpire, e dirige la repressione soprattutto contro le istituzioni culturali della chiesa cattolica. Se poi si volesse indagare intorno alle varianti africane del comunismo, basterebbe gettare un'occhiata all'Eritrea di Isaias Afewerki, che decreta guerre e repressioni interne secondo il suo capriccio, coscrivendo giovani prelevati dalle chiese durante le messe, e schiacciando qualsiasi forma di dissenso.

Ce n'è abbastanza per comprendere che parlare di comunismo, oggi, significa guardare al presente e non solo al passato.

E che ricordarsi del Memento Gulag, il 7 novembre, è un dovere morale da uomini liberi.

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