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Con Favino la gauche italiana si scopre sovranista

Personaggio italiano? Attore italiano. Questo è quanto ora chiedono gli attori del nostro Paese alle produzioni americane. Quindi anche a sinistra conoscono il significato di sovranismo e dimostrano di apprezzarlo

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Pierfrancesco Favino è uno degli attuali interpreti del cinema italiano. Per molti è l'erede dei grandi nomi che nella seconda metà del Novecento hanno contribuito a creare il mito di Cinecittà, della Dolce vita ma, soprattutto, interpreti di quei film straordinari che sono entrati di diritto nelle teche storiche del cinema mondiale. Apprezzato e quasi osannato da "quelli giusti", dai circoli che contano e dalla gauche italiana, consapevole che il suo orientamento politico fosse un plus nella società di oggi, Favino non ha mai fatto mistero di essere un simpatizzante della sinistra ma, soprattutto, di quelle battaglie da copertina che tanto funzionano sui media e per sentirsi in pace con la propria coscienza.

Eppure, all'improvviso, ecco che Pierfrancesco Favino si scopre sovranista. Non in senso lato ma in senso stretto, strettissimo. Alla Mostra del cinema di Venezia, uno degli eventi più radical chic del nostro Paese, c'era anche lui come protagonista di uno dei film in concorso. E così, durante una delle tante tavole rotonde, ecco che arriva il suo affondo. Il pomo della discordia? Il film Ferrari, produzione kolossal americana con attori americani. Ma come? Il protagonista è uno dei baluardi dell'italianità e non viene affidata la sua interpretazione a un italiano? I più maligni sostengono che il rancore di Favino non sia da ricercare in un sentimento patriottico, in quella "appropriazione culturale" che sventola come vessillo, ma nel fatto che a interpretare Enzo Ferrari, o uno degli altri protagonisti, non sia stato chiamato lui.

Favino da Venezia si è fatto portabandiera dell'orgoglio attoriale italico, della lesa maestà delle arti del Belpaese ignorate dalle produzioni internazionali. In coda all'attore si sono messi in tanti, che ora rivendicano il diritto, che sembra essere inalienabile, di essere protagonisti di tutte le produzioni in cui vi sia un personaggio italiano. Abbastanza comodo così, ennesima battaglia personale travestita da battaglia sociale che tanto piace a quelli giusti. Ma come mai si svegliano ora, Favino e soci, quando questa è una battaglia che diversi prima di loro hanno portato avanti nel mondo del cinema, senza mai avere nessun seguito o riscontro.

Forse perché non sono parte di quel mondo elitario e ristrettissimo della sinistra culturale italiana? Ah, i misteri di questo Paese.

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