Politica

Dalla pista anarchica a quella della disgrazia

Gli inquirenti, subito dopo l’eplosione, avevano parlato di pacco esplosivo

Massimo Malpica

nostro inviato a Latina

Non è stato un atto terroristico a uccidere il carabiniere di quartiere di Latina Alberto Andreoli. Non è stata una bomba anarchica né una vendetta della malavita organizzata a strapparlo via da sua moglie Carla e dalle sue due giovanissime figlie, ma una «tragica fatalità», per usare le parole del comandante generale dell'Arma, Luciano Gottardo. Perché l'ordigno che due giorni fa, alle 15.40, è esploso nella stanza al primo piano del comando provinciale dei carabinieri di Latina era un'arma da guerra, non certo il prodotto di un artigiano bombarolo. Una letale granata a frammentazione, una bomba a mano di fabbricazione estera che si trovava in quell'ufficio perché qualcuno, probabilmente, ce l'aveva messa «convinto dell'inoffensività della stessa», sentenzia laconico in un comunicato il procuratore aggiunto del capoluogo pontino Francesco Lazzaro. «La bomba - ha detto poi lo stesso magistrato - è probabilmente di fabbricazione russa, fatto questo che si evincerebbe dalla superficie liscia dell'involucro». Gli accertamenti tecnici eseguiti dal reparto carabinieri Investigazioni Scientifiche di Roma, in collaborazione con gli artificieri.
La prima parte del giallo è stata dunque risolta. Grazie ai rilievi effettuati per tutta la notte in quella stanza dagli uomini del reparto investigazioni scientifiche di Roma e dagli artificieri dei carabinieri, e in seguito all'esito dell'autopsia sul corpo della vittima, è tramontata «al 99 per cento» l'ipotesi dell'attentato.
Un importante passo avanti verso la verità, per capire come siano andate le cose in questa tragedia assurda. Ma se l'allarme per l'atto terroristico è rientrato, l'inchiesta deve ancora fornire risposte per gli aspetti più inquietanti: come può una micidiale bomba pronta a esplodere essere finita in una caserma, e chi può averla portata fin lì?
Se lo chiede la moglie, distrutta, che abbracciata ai suoi parenti arrivati dalla Sardegna e consolata da un collega del marito, di fronte alla camera mortuaria dell'ospedale Santa Maria Goretti ripete all'infinito la stessa frase spezzata dai singhiozzi: «Non me lo ridà più nessuno». Se lo chiede lo stesso comandante provinciale dei carabinieri di Latina, Domenico Libertini, rimarcando come sia «fondamentale che su un episodio di tale gravità si faccia assoluta chiarezza, qualunque sia la verità».
E proprio sulla collaborazione dell'Arma contano i magistrati che si occupano del caso - oltre a Lazzaro i sostituti Giancarlo Ciani e Vincenzo Saveriano - che intendono «individuare tempi, modalità e ragioni della presenza dell'ordigno», e di conseguenza anche l'eventuale responsabile dell'incredibile leggerezza.
Non si esclude la possibilità che l'ordigno sia stato affidato a un carabiniere, forse allo stesso Andreoli, da qualcuno che l'aveva ritrovato per strada o in campagna, e che sia esploso mentre veniva esaminato. Ma lo scenario più temuto, e forse più probabile, è che la bomba possa essere stata portata nella caserma «Vittoriano Cimmarrusti» da uno dei militari che vi prestano servizio al ritorno da una missione all'estero, forse un «souvenir» del Kosovo, ritenuto un pezzo di ferro inoffensivo e rivelatosi invece mortale. A trarre in inganno chi ha introdotto l'ordigno nell'ufficio, e poi Andreoli che lo ha preso in mano facendolo detonare, potrebbe essere stata la sua forma «innocua», come spiega il procuratore aggiunto di Latina. «Non è la classica bomba ad ananas - racconta Lazzaro - ma è avvolta da un involucro, metallico o in plastica, perfettamente liscio, che le conferisce l'aspetto di un cilindro». Proprio l'elemento che potrebbe essere stato fatale all'appuntato, non certo uno sprovveduto, ma nemmeno un esperto di armi da guerra.
Latina oggi saluterà per l'ultima volta il suo carabiniere di quartiere durante la celebrazione dei funerali, alle 16.30 nella cattedrale di San Marco.

E ieri i cittadini del capoluogo pontino hanno reso omaggio ad Andreoli, posando fiori colorati sul marciapiede di fronte alla finestra dell'ufficio dove il ragazzo ha perso la vita, ancora coperta da un lenzuolo bianco, e dove una mano infantile ha lasciato un messaggio: «Sarai per sempre il nostro angelo custode».

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