Controcultura

Poesia e paura di vivere negli attacchi di "Panico"

Doninelli racconta il terrore incontrollabile. E come serva una mano (altrui) per salvarsi

Poesia e paura di vivere negli attacchi di "Panico"

C' è più intelligenza della vita, profondità culturale e spessore poetico nelle prime trentadue pagine del nuovo libro di Luca Doninelli che in intere bibliografie. La recensione potrebbe anche finire qui. Ma proseguiamo ancora un poco. Leggete Panico (Editoriale Scientifica, pagg. 182, euro 15). Panico è... non si può dire, è inclassificabile, un esperimento in una collana sperimentale, «sConfini», dove convivono, e all'interno dello stesso testo, l'aspetto saggistico, il reportage, la narrativa, il taccuino di appunti. Niente di nuovo sotto il sole, avete presente Montaigne o Chateaubriand o Sterne o perfino, perché no, lo Zibaldone di Leopardi? Tuttavia, in Italia, dove si producono i libri con lo stampino, e sono infatti indistinguibili l'uno dall'altro, la collana diretta da Fabrizio Coscia è una felice anomalia. In cima alle influenze di Doninelli, possiamo citare i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Panico è un Frammenti di un discorso pauroso...

Adesso inizia la parte difficile dell'articolo: la paura, e la felicità, di affrontare la carne al fuoco della prosa di Doninelli. Tutto inizia, in Panico, con un colpo di tosse improvviso, un venticello fastidioso, un malumore inspiegabile. Segue il primo di una lunga serie di attacchi di panico. Non è facile spiegare cosa sia a chi non ne ha avuto mai uno. Doninelli utilizza tre immagini: il Sottosopra di Netflix; il Labirinto del Minotauro; Giona nella pancia del pesce. Il primo rispecchia la sensazione di essere e non essere presenti: siamo nella realtà ma rovesciata. Il secondo riflette la sensazione di essere imprigionati e inseguiti da qualcosa di mostruoso. Nel terzo esempio possiamo vedere due aspetti contrastanti: la sensazione di essere completamente soli ma anche l'inattesa felicità di essere sputati sulla spiaggia. È come rinascere.

Queste però sono le sensazioni facili da descrivere a chi legge o ascolta. Poi c'è una parte (enorme) ineffabile. Cosa scatena un attacco di panico? Ci sono luoghi o oggetti che sembrano legati al panico ma non diremmo che ne sono la causa. In che parte del nostro corpo si scatena l'attacco di panico? Impossibile a dirsi. Ma il terrore, quel tipo di terrore, è una esperienza nettamente fisica. Si potrebbe pensare che il panico dell'attacco sia dovuto alla percezione di essere imprigionati nel proprio corpo («corpo di morte», diceva San Paolo) e che dunque il tutto abbia una relazione con il nostro desiderio di immortalità. Doninelli: «Verrà il giorno in cui morirò, è vero, e forse il giorno non è questo, né quell'altro ancora, ma la mia morte è già qui, adesso, in questo istante. È una paura connaturata con il fatto stesso di esistere fisicamente, l'esistenza fisica è paura, il corpo è paura. Non è uno stato emotivo. È una paura radicale perché riguarda l'assoluto non-comprensibile. È incomprensibile che io non esista più, è incomprensibile che l'inesistenza sia parte della mia definizione come corpo e tempo».

L'attacco di panico atterrisce anche quando è finito. Chiunque preferirebbe qualunque cosa al ricascare in quel delirio. Qui si innesca il meccanismo della paura della paura. Un attacco di panico è in una certa misura anche una profezia che si autoavvera. Ho così paura di avere paura che perdo il controllo. Ecco, quest'ultima parola, controllo è forse l'unica che Doninelli dimentica. L'attacco di panico è paura di perdere il controllo: sulla realtà, sul nostro corpo, sulle nostre azioni. Confina pericolosamente con il suicidio e l'omicidio. Forse è semplicemente il momento della verità o il momento in cui decidiamo di non nasconderci più la verità. Una verità che sappiamo da sempre ma alla quale cerchiamo di non pensare. La nostra sorte è segnata. La sorte di chi ci sta accanto è segnata. L'universo intero sembra un campo di concentramento in cui la vita si raffredda e poi svanisce, come direbbe lo scrittore (e amico) Massimiliano Parente. È un conto alla rovescia, alla fine del quale c'è... soltanto la fine.

Qui ci soccorre la storia di Giona, che rinasce dopo essere sprofondato da impotente prigioniero nell'immensità del mare. La salvezza dunque è possibile. La nostra salvezza forse arriva dall'accettare di non avere il controllo e dalla volontà, in qualche caso, di cederlo. La disperazione, il dolore all'apparenza insensato, ci spingono a chiedere aiuto. E di solito si ottiene, nei modi e dalle persone più impensabili. Il primo passo verso la salute è fatto. Infatti, non ci salva mai da soli, né dagli attacchi di panico, né da qualunque altra minaccia. Il dolore insensato forse è spia di un desiderio di essere salvati ma che salvezza può esserci nel nichilismo che la società ci propone come modello unico da seguire? Nessuna. E allora si inizia a cercare. E allora si inizia a trovare. Le sorprese, a volte divine, non finiscono mai.

La vicenda, vista dalla parte di chi offre aiuto, potrebbe essere meno nobile di quanto appare. A qualcuno piace dare più di ricevere. Sottinteso: ti aiuto e questo mi fa sentire intoccabile. Narcisismo, insomma. Ma qui vogliamo osservare una cosa, mettendoci dalla parte di chi riceve: quale importanza può avere la motivazione di chi ci aiuta? Per chi la afferra, ciò che conta è il tendere la mano, non il motivo per cui è stata tesa.

Doninelli conosce e racconta nel resto di Panico proprio questi passaggi.

Troverete squarci illuminanti anche nelle storie solo in apparenza slegate dal tema centrale: le coincidenze, i figli, una polemica clamorosa con Antonio Tabucchi iniziata con una stroncatura di Sostiene Pereira e finita davanti a un calice di champagne.

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