Calcio

La polisportiva come manifesto e il discorso di Barcellona

Oltre al calcio, anche rugby, pallavolo, baseball e hockey. Ha vissuto e cambiato lo sport come impegno sociale

La polisportiva come manifesto e il discorso di Barcellona

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Tutto tranne che un visionario che, nel significato puro, sta per chi immagini cose non vere, non aderenti alla realtà. Silvio Berlusconi aveva idee chiare, definite, con dieci giri di vantaggio sul resto della comitiva che ascoltava basita, incosciente, tra stupore e diffidenza nei confronti di quell'improbabile affabulatore brianzolo. Non era un imbonitore, oltre le parole i fatti, il progetto era definito nei dettagli minimi, gruppo, squadra, fede, lavoro, impegno. Per rendere l'idea rispolvero un fotogramma dell'agosto nell'Ottantasei. Il Milan partecipava al trofeo Juan Gamper con Barcellona e Tottenham. Vicino al Princesa Sofia, l'albergo che ospitava la squadra, lungo un marciapiede in discesa che portava verso il Camp Nou. Silvio Berlusconi camminava tenendo un braccio sulle spalle di Giuseppe Galderisi, attaccante rossonero. Il presidente procedeva lentamente e spiegava animatamente, all'orecchio del ragazzo, come colpire il pallone, come affrontare in dribbling l'avversario, come intuire il momento del gol. Galderisi ascoltava, con gli occhi e il volto curiosi, ogni tanto voltandosi per capire se fosse una gag organizzata.

Era tutto vero, parole e pensieri sinceri di Silvio Berlusconi, uomo di passione e di fatti concreti, convinto di poter trasmettere quei valori a chi gli parasse di fronte, sicuro di arrivare al risultato, dunque alla vittoria, al successo, alla gloria. Non soltanto il football, non soltanto il Torrescalla o il Milan e infine il Monza, ma, in avvio, l'intuizione di uno sport diverso dalle consuetudini, quasi un impegno sociale, preferendo, come investimento, lo sport di squadra, dunque formativo per i giovani, isola ideale, fresca, non contaminata e comunque lontana dalla droga, dalla violenza, dalla fragilità psicologica di una fetta emarginata di generazione.

Un salto culturale, ovviamente supportato dai mezzi finanziari che Berlusconi metteva a disposizione, tutte le squadre appoggiate dal marchio Mediolanum, il baseball Milan conquista due coppe Italia e una supercoppa CEB, i Devils di hockey su ghiaccio tre titoli nazionali e una Alpenliga, l'Amatori quattro scudetti e un coppa Italia nel rugby, il Gonzaga una coppa delle coppe e due coppe del mondo, di pallavolo.

La televisione è il veicolo per dare illustrazione al progetto e ai risultati agonistici, la pubblicità porta altri dané, i passaggi televisivi offrono (vana)gloria ai vecchi soci travolti dalla improvvisa e imprevista popolarità, Berlusconi colloca Fabio Capello a capo della polisportiva, è una intuizione delle capacità manageriali del bisiaco che avrebbe poi scritto la storia del Milan. L'arrivo di campioni delle varie discipline attirò tifosi e sponsor, ecco la visione, ecco il fiuto di scavare una terra fino allora incolta e che avrebbe, invece, prodotto fiori profumati alla voce interessi, nuove passioni, una montata di tifo che è poi il termometro del popolo sportivo. Il Milan è stata la sua esaltazione celebrativa ma il migliore veicolo per raggrumare consenso, è il gol di qualunque imprenditore ma se altrove i tifosi sono quota mercato, clienti, avventori, nell'idea di Berlusconi erano il popolo rossonero, la realizzazione di quell'idea antica che era un sogno ad occhi ben aperti, reso possibile e realizzabile da una colossale disponibilità finanziaria, dunque una discesa in campo, per restare nel lessico sportivo poi utilizzato per la scelta politica, per passare alla storia mondiale come un collezionista di vittorie, scudetti e coppe in ogni dove, purché colorate di rosso e di nero, non proprio i suoi colori ideologici, anzi, ma l'anima e il corpo del milanesismo frequentato anche dai nemici di Forza Italia però uniti e compatti nel Forza Milan.

Un terzo di secolo vissuto come fosse sempre il primo giorno, la prima sera, quella di Barcellona, lungo il marciapiede in discesa verso il Camp Nou.

In fondo che cosa è lo sport se non una sfida da giocare e da vincere? Come la vita.

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