Politica estera

Le elezioni e l'eredità. La nuova Turchia plasmata da Erdogan

Anche qualora dovesse vincere le elezioni, Kemal Kilicdaroglu potrebbe non riuscire (né volere) accantonare tutto quanto realizzato nella lunga stagione di potere di Erdogan. Dopo venti anni, la Turchia è un Paese diverso e con ambizioni diversi

Le elezioni e l'eredità. La nuova Turchia plasmata da Erdogan

Le elezioni di questa domenica segnano per la Turchia un passaggio fondamentale. Riuscirà Kemal Kilicdaroglu a sconfiggere il presidente Recep Tayyip Erdogan ponendo fine alla sua lunga era al potere? La risposta la daranno solo le urne: forse non quelle del primo turno ma del secondo. Quello che però apare già abbastanza chiaro è che Erdogan, anche se sconfitto alle elezioni, non verrà rimosso o dimenticato dalla Turchia. Dopo circa venti anni di potere, il "Sultano" ha plasmato un Paese il più possibile a sua immagine e somiglianza, legato non soltanto al suo partito politico e alla sua cerchia di persone amiche, ma anche alla sua stessa idea di Turchia. Un'intera generazione è nata e cresciuta con una sola leadership, quella di Erdogan. E la Turchia, dopo due decenni, si è indubbiamente consolidata in un sistema culturale e ideologico che difficilmente può essere accantonato o addirittura estirpato dalla vittoria delle opposizioni.

Progressismo e conservatorismo della Turchia

L'ambizioso obiettivo del segretario di Kilicdaroglu, e cioè quello di "liberare il Paese da una leadership autoritaria" come ha detto in un'intervista ai media tedeschi, rischia dunque di essere vero solo in parte. Se infatti il segretario del partito repubblicano Chp può dare una svolta alla Turchia nei modi e nelle forme, rinvigorendo i rapporti con l'Occidente e riaffermando il rispetto di alcuni principi-guida di una democrazia compiuta, altro è pensare che il Paese possa essere aderente a una visione progressista. In parte perché la coalizione che guida Kilicdaroglu è estremamente composita, e potrebbe non avere la capacità di riformare radicalmente lo Stato. In parte perché il tempo hce ha avuto a disposizione Erdogan non è paragonabile a quello che può avere il principale oppositore. Infine, il "Sultano" non ha solo plasmato la Turchia, ma ha anche assecondato certe derive o aspirazioni che erano stato in qualche modo sopite dal kemalismo più intransigente e che invece hanno trovato libero sfogo o semplicemente possibilità di svilupparsi sotto la sua presidenza.

Il tema confessionale è in questo senso particolarmente utile per comprendere l'evoluzione del Paese. La Turchia, bastione del laicismo dei militari e dei kemalisti, non ha mai rigettato in modo deciso e potente quanto approvato da Erdogan. E anche la rinascita di un senso religioso della politica con il richiamo ai valori dell'Islam e la voglia di strutturare il Paese in linea con questi valori, si è così radicata che lo stesso Kilicdaroglu ha "confessato" la sua appartenenza alla fede musulmana, per quanto della minoranza alevita, scontentando sia una parte di sunniti sia i più ferventi sostenitori del laicismo turco.

Erdogan e uno Stato "a sua immagine"

L'eredità del Sultano è anche quella di uno Stato profondo in cui il sistema di potere di Erdogan e dei suoi fedelissimi è ormai ramificato. Le ondate di arresti dopo il tentato golpe del 2016, la repressione dell'organizzazione di Fetullah Gulen o di suoi presunti seguaci accusato di sedizione o terrorismo, il cambiamento di numerosi vertici di magistratura e forze armate con persone più allineate alla politica dell'Akp o dei nazionalisti suoi alleati, hanno impresso una forte presa sui gangli dello Stato. E questo fornisce anche il quadro di un Paese non semplice da riorganizzare dal punto di vista burocratico, amministrativo dei suoi apparati. Un tema che si evince anche in un altro settore, quello dell'industria della difesa. La relazione tra Erdogan e l'azienda più importante del Paese, la Baykar, grazie anche al matrimonio della figlia del presidente con l'astro nascente della famiglia Bayraktar, Selçuk, è totale. E in questi anni, Baykar è diventata la punta di diamante non solo dell'industria nazionale delle armi, ma anche dell'esprtazione di esse nel mondo, con i droni Bayraktar come elemento cardine della geopolitica turca.

La geopolitica di Erdogan

Questo ci porta anche a considerare un'altra pesante e complessa eredità del Sultano, la sua visione internazionale. Con venti anni di potere, un tentato golpe subito, alleanze e interventi militari, asse con il Qatar e riavvicinamento con altri attori arabi, in costante fluttuazione tra Nato e Russia, accordi e frizioni con la Cina, e, infine, con l'Europa prima agognata e poi avversata, Erdogan ha forgiato una politica estera eclettica e complessa. La Turchia ha riacquisito una posizione rilevante sul palcoscenico internazionale. Ma quello che è più interessante del percorso di Erdogan è il fatto di avere rimesso in moto un senso "imperiale" di Ankara fondendo visioni neo-ottomane, panturche, kemaliste, filo-occidentali e filo-orientali, in uno struano "unicum". In questa nuova realtà geopolitica, la Turchia ha cambiato spesso traiettoria. Lo dimostra quanto accaduto in Siria, dove Erdogan è passato da essere alleato di Bashar al Assad a suo nemico, sostenendo poi la "profondità strategica" per acquisire territori a sud e infine, ora, negoziando nuove relazioni. Ma questo rovesciamento di fronti lo si è visto anche con l'Unione europea, dove Erdogan è passato dal chiedere l'adesione della Turchia a incassare miliardi per il blocco della rotta dei migranti e mettendo continua pressione sulla Grecia e su tutti i Paesi della rotta balcanica. Nei rapporti con gli Stati Uniti e Russia, stessa ambiguità, tra fedeltà all'Alleanza Atlantica, richiesta di aerei F-35 e F-16, accordi con la Russia per gas e nucleare, condominio con Mosca sulla Siria e assenza di sanzioni alla Federazione dopo la guerra in Ucraina.

Kilicdaroglu può cambiare i toni ma non troppa sostanza

È chiaro che questa pesante eredità non può essere modificata radicalmente da Kilicdaroglu. Il leader del partito repubblicano sicuramente cambierà i toni usati dal Sultano, placando immediatamente le derive più iraconde e propagandistiche di Erdogan specialmente nei rapporti con l'Unione europea e gli Stati Uniti. Possibile anche un placet immediato alla Svezia nella Nato - per quanto molto possibile anche con una conferma dell'attuale presidente. Ma questo non autorizza a credere che la visione imperiale turca venga completamente accantonata dalle opposizioni, anche perché molti rivali di Erdogan hanno già dimostrato di essere ben allineati o addirittura fautori di certe strategie politico-militari. Basti pensare alla dottrina della Patria Blu, ovvero la rinascita turca nel Mediterraneo e la spinta verso il mare. "Mavi Vatan" - il suo nome in turco - è stata ideata da un ex ammiraglio, Cem Gurdeniz, addirittura arrestato (poi rilasciato) da Erdogan con l'accusa di tentativo di colpo di Stato. Ma questa totale divergenza politica e ideologica non ha negato negli anni la piena adesione del Sultano alla visione di una Turchia come potenza nel Mediterraneo e concentrata sugli interessi navali e marittimi. Anche nei rapporti con la Russia è probabile che Kilicdaroglu non cambi radicalmente rotta, al netto dello scambio di accuse con Erdogan. Molti alleati del politico alevita sono fortemente orientati a non scontrarsi con la Russia, mentre altri non appaiono molto eccessivamente filo-Nato. Inoltre, i rapporti strategici costruiti da Erdogan e Vladimir Putin difficilmente possono essere messi da parte a elezioni finite e con un cambio di leadership ad Ankara.

Probabilmente cambierà la fiducia reciproca, ma tra accordi su gas ed energia nucleare, convivenza nel Mar Nero, asse su molti settori economici e partnership militare in Siria, Caucaso e Libia, difficilmente Kilcdaroglu volterà le spalle al Cremlino.

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