Politica estera

Il referendum e l'ombra della guerra: cosa succede tra Venezuela e Guyana

Il Venezuela reclama l'Essequibo, area della Guyana ricca di petrolio, e minaccia di far scoppiare una guerra che preoccupa gli Stati Uniti. Ecco cosa può succedere

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L’aria è elettrica in Sudamerica. Un referendum che avrà luogo in Venezuela a breve, il 3 dicembre, ha messo in allerta la piccola Guyana e i suoi custodi, Stati Uniti e Regno Unito, perché potrebbe essere precorritore di una guerra.

Nicolás Maduro, la mente del referendum, vuole che i venezuelani si esprimano su uno dei contenziosi territoriali più antichi del Sudamerica: l’Essequibo. Per lui è (anche) un modo di distrarli dai problemi che li affliggono, come iperinflazione e narcoviolenza, ma non è impossibile che il circolo vizioso in cui sono entrate Caracas e Georgetown conduca a un epilogo falklandiano.

Il referendum che spaventa Georgetown (e Washington)

L’Essequibo è per il Venezuela ciò che le Malvine sono per l’Argentina: una questione di identità nazionale che unisce il popolo intero, ogni segmento e frazione, toccando anche le corde dell’anima dei più distanti dalla politica. Il Venezuela non è e non può esistere senza l’Essequibo. Affermazione che mette tutti d’accordo e che, nel caso specifico, ha fatto sì che i due arcinemici di Maduro, Juan Guaidó e Chiesa cattolica, dessero la loro benedizione al referendum.

La consultazione proposta da Maduro, che è anche un modo per distrarre i venezuelani dalla pandemia di problemi che avvolge il Paese, come il boom di criminalità e l’iperinflazione – che, al 317%, è la più alta del pianeta –, vuole interrogare i venezuelani sull’Essequibo. Perché se il popolo rispondesse affermativamente a ognuno dei cinque quesiti postigli, allora Maduro avrebbe la legittimazione popolare a supportarne le future mosse nella regione. Inclusa la guerra.

L’Essequibo tra passato, presente e futuro

L’Essequibo è una regione che occupa due terzi del territorio della Guyana, centosessantamila chilometri quadrati su duecentoquindicimila, e che prende il nome dall’omonimo fiume che nasce sulle vette degli Acarai. Trattasi di una regione appartenente de jure e governata de facto dalla Guyana, che l’ha ereditata dal Regno Unito all’indomani dell’ottenimento dell’indipendenza nel 1966 e che dalla fine dell’Ottocento è ragione di contesa col Venezuela. Caracas rivendica la storica incorporazione dell’Essequibo nella Capitaneria generale del Venezuela, il precursore del Venezuela contemporaneo, e non ha mai accettato la sentenza dell’arbitraggio internazionale di Parigi del 1899, ritenuta una frode. Per Georgetown, viceversa, l’Essequibo è un dono di Londra che gode, per di più, di legittimazione giuridica internazionale.

La questione, dopo decenni di oblìo, è riemersa in seguito alla scoperta di eccezionali riserve petrolifere nelle acque dell’Essequibo – che sarebbero pari o superiori ai dieci miliardi di barili. Riserve di cui Caracas vuole appropriarsi per impedire a Georgetown di eclissarla sui mercati internazionali e per fare uno smacco a Washington, i cui giganti dell’oil and gas hanno già ottenuto la licenza di perforare.

Dopo il tre dicembre, a seconda di quello che sarà l’esito referendario, nell’Essequibo potrebbe essere guerra oppure negoziato. Il secondo scenario è il più probabile: una Georgetown che, spinta dalla massima pressione di Caracas, accetta di riaprire la causa in sede legale, magari presso la Corte Internazionale di Giustizia, e di rinegoziare i confini tra i due paesi.

Il primo scenario è il più remoto, ma non è impossibile, tanto che Washington ha già inviato due delegazioni del Pentagono a Georgetown e il Brasile ha messo le forze armate in stato di allerta.

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