Guerra in Israele

Erdogan, escalation di minacce a Israele: "Pronti a entrare di notte..."

Il presidente turco continua a soffiare sul fuoco di Gaza e condannare apertamente lo Stato ebraico. Ma i rapporti tra i due Paesi sono molto più complessi. E il Sultano ha diversi obiettivi regionali

Erdogan, escalation di minacce a Israele: "Pronti a entrare di notte..."

Cosa spinge il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a infiammare le piazze anatoliche sostenendo la causa di Gaza e attaccando a testa bassa Israele? Nel centenario della Repubblica turca, momento epocale della storia di Ankara ma soprattutto della lunga stagione al potere di Erdogan, la crisi mediorientale e la guerra tra Israele e Hamas ha fornito un fondamentale strumento di propaganda nella macchina del "Sultano".

L'ultimo comizio a Istanbul, davanti a una folla riunita per sostenere i palestinesi, ha visto la partecipazione di un Erdogan che ha svestito in poco tempo i panni del leader più affine all'Occidente del periodo elettorale, per vestire quelli del leader mediorientale, "neo-ottomano", dove la parola d'ordine era il sostegno senza mezzi termini ad Hamas e l'attacco allo Stato ebraico. "Siamo pronti a difendere la patria, possiamo venire in qualsiasi notte inaspettatamente", ha detto Erdogan facendo un parallelismo con gli abitanti di Gaza. E sono in molti a chiedersi quali siano gli obiettivi del presidente turco.

Dalla svolta moderata alla svolta radicale

Una scelta non nuova certo, ma curiosa se si pensa al fatto che Erdogan aveva solo pochi giorni fa avallato l'ingresso della Svezia nell'Alleanza atlantica, dando quindi l'immagine di un riavvicinamento con il blocco occidentale che era stato del resto palesato anche con il cambiamento nelle relazioni con la Grecia, da qualche mese votato al dialogo e non allo scontro frontale come negli anni precedenti.

Cosa bolle dunque nella politica turca? La risposta è, come in molti casi, complessa. E come spesso accade nel Levante più profonda e meno palese di quanto si possa credere. Per capirlo bisogna partire dalla grande dicotomia turca e della stessa leadership del "Sultano", che negli anni ha subito una complicata evoluzione.

Il sogno di Erdogan sulla leadership regionale

Erdogan non ha mai nascosto una sua particolare aspirazione di leadership mediorientale e del mondo musulmano. La sua propaganda si è spesso incentrata su temi legati alla religione, ha cambiato la pelle della Turchia anche contraddicendo i dettami laicisti di Ataturk, e ha riportato in auge un'appartenenza islamica che nel Novecento appariva completamente estranea alla nuova repubblica turca. Questo si è realizzato nel tempo sia puntando alla "pancia" del Paese, alla Turchia profonda e sicuramente meno affine all'Occidente rispetto alle grandi città mediterranee, sia sfruttandolo per costruirsi una rete di alleanze e di influenze che vanno dal Sahel all'Asia centrale, passando per il Golfo Persico e per quell'asse con il Qatar che si era cristallizzata nella vicinanza alla Fratellanza Musulmana.

Dalla Freedom Flotilla a Gerusalemme e Gaza

La causa palestinese offriva (e offre) a Erdogan assist formidabili, dal momento che su questo fronte è palese la comunanza di idee di tutta la comunità musulmana. Lo fece capire nel noto caso della Freedom Flotilla per Gaza, lo ribadì con la querelle sullo status di Gerusalemme, a sua volta al centro delle dichiarazioni del leader turco soprattutto quando Donald Trump la riconobbe come capitale dello Stato di Israele. E adesso, il gioco del Sultano non può che essere quello di soffiare su questa brace ardente anche ribadendo una delle sue principali linee narrative e strategiche: la riaffermazione di una logica neo-ottomana imponendo l'influenza turca sui luoghi dove l'Impero è stata l'unica autorità per molti secoli.

Questo era già avvenuto prima dell'attacco di sabato. Già in altre dichiarazioni Erdogan aveva sottolineato, a volte anche solo come piccoli incisi, del ruolo dell'Impero ottomano come garante della pace nella regione e del suo dissolvimento come causa di caos. E questo, se è stato usato anche in altri contesti (basti pensare alla Siria), è utile ancora di più per un tema caldissimo come quello della Terra Santa.

Tra propaganda e realismo

Solo propaganda e sogni neo-ottomani? Non proprio. Perché Erdogan è anche leader di una nazione che si caratterizza per tre grandi punti: l'essenza non araba, la presenza di un nazionalismo fortemente laico e il desiderio di potenza che è radicato in un pensiero strategico raffinato e comune a tutte le componenti politiche anatoliche. Questo implica diverse conseguenze, a partire proprio dai rapporti con Israele, con cui la Turchia ha grandi dossier aperti e spesso mostrato rivalità ma anche affinità strategiche.

La Turchia non è araba

Il fatto che la Turchia sia una nazione sì mediorientale, sì a maggioranza musulmana ma una nazione non araba conferma che sia più facile parlare tra Ankara e i governi israeliani rispetto alle altre forze regionali. La Turchia non ha un contenzioso aperto con lo Stato ebraico, non ha partecipato a guerre contro Israele dalla sua nascita e la laicità ha reso possibile un dialogo molto più facile rispetto ad altre potenze fortemente ancorate alla fusione di religione e politica. Inoltre, la Turchia rispetto ad altre potenze locali non ha né una forte componente di rifugiati palestinesi, né ha avuto per decenni l'aspirazione a proteggere i luoghi santi dell'Islam. Questo lo si evince anche dal fatto che il mondo nazionalista turco di stampo kemalista non ha mai aperto con Israele questioni di natura culturale e religiosa, bensì ne ha parlato in logiche di sfida tra potenze e dialogo tra Stati che hanno interessi divergenti così come comuni. Per esempio per evitare un eccesso di influenza araba sulla questione palestinese. E va ricordato che questa componente è una forte minoranza dell'elettorato turco.

Incroci di alleanze

Infine, i rapporti tra Israele e Turchia sono molto più complessi di quanto si possa credere. Giocare sul tema di Gaza e su altre questioni legate alla Palestina può quindi servire a Erdogan per strappare accordi di varia natura. I due Paesi, per esempio, sono entrambi alleati dell'Azerbaigian: Ankara sostiene apertamente Baku nella sua sfida all'Armenia, ma non va dimenticato che quest'ultima ha ricevuto sostegno militare dalle aziende israeliane e ha con lo Stato ebraico ottimi rapporti in materia energetica. Tutto questo si è rafforzato soprattutto grazie al lavoro del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

La partita del gas

Altro tema di interesse comune è il gas del Mediterraneo orientale. Erdogan ha come obiettivo quello di far transitare il gas dei giacimenti israeliani del Levante in territorio turco, evitando che questo vada a finire in Europa attraverso altre rotte, a partire dal gasdotto Eastmed. Il fronte marittimo è essenziale, visto che la strategia marittima turca, passata alla storia come Mavi Vatan, passa anche attraverso i rapporti con Israele e il riconoscimento delle rispettive zone economiche esclusive. Un riconoscimento che serve anche a limitare le ambizioni cipriote (e quindi greche) nell'area.

Equilibri geostrategici

Inoltre, tra i due Paesi esiste anche un elemento poco noto ma interessante data l'estrema rilevanza che esso ha per Erdogan: la questione curda. Israele negli anni ha sempre avuto un occhio di riguardo per la causa curda. Una logica nata soprattutto quando Israele puntava al consolidamento dei rapporti con tutte le forze non arabe (e motivo per il quale era nata addirittura l'alleanza delle periferie tra Israele e Iran al tempo in cui esso era governato dallo scià).

Non è da escludere che Erdogan, che in questa fase ha blindato la sua influenza sul Caucaso e che vuole colpire il Pkk curdo oltre i suoi confini, abbia deciso di sfruttare Gaza anche in un'ottica di equilibri geopolitici con lo Stato ebraico. Oltre la propaganda, la strategia mostra che Erdogan abbia sepre al centro obiettivi ben più prosaici: espansione dell'influenza, indebolimento dei nemici, accordi sull'energia.

Ipotesi di una missione internazionale?

Non è da escludere inoltre che Erdogan punti ad altro oltre che alla leadership regionale. E cioè la leadership di una ipotetica missione internazionale, magari di stampo umanitario, per la popolazione di Gaza e per il futuro della Striscia post Hamas. Una volta tagliati i ponti con la leadership dell'organizzazione islamista ma confermato la sua piena adesione alle logiche dei miliziani e dei palestinesi tutti, Erdogan, quale leader di una potenza non confinante, non araba e appartenente alla Nato potrebbe essere intenzionato a intraprendere la strada (difficilissima) di una lead in chiave di coalizione internazionale. Ipotesi al momento remota.

. ma le forze turche sono già presenti a Cipro nord, mentre l'aeronautica di Ankara ha già mostrato di voler sostenere la popolazione con carichi di aiuti

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