Politica estera

Vox vittima del voto utile. Abascal finisce battuto (ma rimane terzo partito)

La strategia dei Popolari ha condizionato gli alleati, che perdono 19 seggi. E il ruolo chiave

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Nel guazzabuglio politico spagnolo c’è solo un dato su cui tutti concordano, la vittoria del «voto utile». Un richiamo che ha funzionato, sballando sondaggi ed exit poll e avvantaggiando i due partiti principali, popolari e socialisti.

Il premier uscente Pedro Sánchez, con il cinismo che lo contraddistingue, ha drammatizzato la campagna elettorale inventando un fantasmagorico «ritorno del franchismo, del clericalismo, del machismo» per appellarsi con toni isterici ai moderati liberal, alle sinistre più o meno estreme, ai separatisti; alla fine è riuscito a strappare due seggiin più (da 120 a 122) e ridimensionare l’estrema sinistra di Sumar e gli indipendentisti catalani di Esquerra repubblicana. Seppur ammaccato, Sánchez rimane ancora in corsa per un’ipotetica riconferma.

Stessa storia (ma con più successo e voti) sul fronte opposto. Il leader dei popolari Alberto Nunez Feijóo ha incassato oltre otto milioni di voti e 47 seggi in più (da 89 a 136) a spese principalmente di Vox, il movimento di Santiago Abascal. Abilmente Feijóo ha condotto una campagna elettorale nel segno della moderazione, prendendo puntualmente le distanze dal suo ingombrante concorrente (e sorvolando sulle alleanze amministrative e regionali con Vox). L’obiettivo era recuperare i voti in «libera uscita» a destra e riportarli, almeno in parte, nell’ovile. Una manovra parzialmente riuscita. Nonostante la clamorosa avanzata, per pochi seggi i popolari non sono in grado, pur imbarcando Vox, di formare un governo. Il partito di Abascal, anche a causa della macchinosa legge elettorale iberica, è sceso da 52 a 33 seggi e Feijóo non ha al momento altri interlocutori possibili.

Da qui l’esultanza delle sinistre europee - si vedano le strampalate esternazioni della Schlein sull’arresto dell’«onda nera» - e il compiacimento della grande stampa liberal. Un giubilo utile per lenire la delusione per la mancata rimonta di Sánchez ma certamente prematuro. Vox, nonostante il relativo arretramento nelle urne - dal 15% del 2019 all’attuale 12,4, non proprio una Caporetto -, non è per nulla polverizzata. Anzi. A oggi, con tre milioni di voti, è il terzo partito della Spagna e, come sopra accennato, governa assieme ai popolari comuni e regioni importanti (Valencia e l’Estremadura). In più, come queste elezioni confermano, mantiene uno zoccolo duro che affonda le sue radici sia nel mondo cattolico sia nei ceti sociali (soprattutto nelle zone rurali) più svantaggiati. Errato, quindi, sottovalutare Vox e le sue potenzialità o, soprattutto, liquidarla come un cascame del defunto franchismo.

Il movimento è qualcosa di ben più serio dei tanti esperimenti — molti folcloristi, pochissimi seri — dei vari gruppetti neo o post falangisti: un universo popolato da una sempre più ristretta galassia di camicie azzurre. «Cara al Sol», pensionati, pellegrinaggi e tanta malinconia. Un piccolo, innocuo mondo antico. Esercizi di marginalismo sigillati dagli scarsi 4mila voti raccolti domenica in tutta la Spagna dalla comatosa Falange.

In più sarebbe sciocco immaginare Vox come un conglomerato di bacchettoni reazionari o di nostalgici. In un’intervista a Le Figaro Ivan Espinosa de los Monteros, capogruppo alla Camera, ha sottolineato con forza che «certo, crediamo nei valori conservatori, vogliamo un’immigrazione legale nel rispetto dei valori occidentali e detestiamo il politicamente corretto, ma riteniamo giusta la separazione tra Stato e Chiesa e il rispetto per i diversi orientamenti sessuali. Non c’interessano Trump, la FoxNews, i predicatori evangelici. Talvolta, ascoltandoli, temo d’essere diventato socialista... Noi siamo altro. Siamo spagnoli». Insomma, la partita per Abascal e i suoi è sempre aperta ed è tutta da giocare.

A condizione di saper trarre i giusti insegnamenti dalle sconfitte.

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