Politica internazionale

Tra leader senza formalità la sua politica del sorriso ha messo l'Italia al centro

Da Obama alla Merkel, da Bush a Putin: in vertici come quello di Pratica di Mare, è riuscito a tessere rapporti e ottenere successi senza mai tradire il suo spirito giocoso Ma con la sua ironia è stato l’unico a riuscire nell’impresa di demolire un mondo fatto di burocrazie inutili, riportando il nostro Paese ad avere un ruolo cruciale nell’Occidente

Tra leader senza formalità la sua politica del sorriso ha messo l'Italia al centro

Aveva la passione per la dissacrazione o perlomeno per quel tanto di giocoso che in genere è ben tollerato nelle gite scolastiche e persino nei matrimoni dei compagni di scuola ma non ha molti precedenti nelle riunioni tra i grandi del mondo che poi si mettono impettiti in cima alla scalinata per la famosa foto. «Op», ovvero l’opportunità per tutti i fotografi di beccare con un solo scatto i grandissimi, grandi, medi, medio piccoli e minimi della terra.
Ed è allora che si fa irresistibile l’impulso delle corna.
Berlusconi, ben consapevole di farla grossa, anzi grossissima, perché avrebbe fatto infuriare tutto un mondo imparruccato e incipriato introducendo nei summit l’elemento Gian Burrasca. Lasciamo stare l’aneddotica e guardiamo alla pratica. Berlusconi è stato per i suoi modi e per i suoi tempi e per la sua lingua e per le sue barzellette e per le sue canzoni francesi e accompagnate al piano dalle sue stesse mani, un dissacratore gentile, visto come un fastidioso inopportuno e anzi quasi un villano, sicché possiamo dire che lo faceva apposta a mettersi in quelle condizioni che gli garantivano il giorno dopo un plotone d’esecuzione a salve, molti botti. Ma niente sangue. Ma quello che non gli fu perdonato, fu la battuta durante il vertice in cui incontrò il neoeletto presidente Barack Obama.
Mentre erano ai due lati opposti di un grande salone il Silvio, come se chiamasse un vecchio compagno della terza C, comincio a gridare: «Obama!
Mister Obama!».
Ma Obama, come poi spiego più volte, si era sentito molto irritato per quel tono confidenziale e la cosa si aggravò quando seppe che il presidente italiano lo chiamava «l’abbronzato», violando una delle regole più sacre del politicamente corretto perché era una allusione al colore della sua pelle e alla sua ascendenza africana, peraltro non dagli schiavi dell’Alabama ma da un funzionario keniota dell’impero britannico.
Una volta mi disse che tra i presidenti americani, quello con cui era più in relazione era stato Bill Clinton per l’arrivo del quale studiò intensamente l’inglese per tre giorni fino a riuscire a dire qualcosa di naturale. Ma poi ci riprovò con George W.
durante un incontro sui campi da golf. Fece un divertente pastrocchio di frasi rubate a canzoni e a manuali di grammatica, sicché George, con ironica sincerità, gli disse: «Ma Silvio, io non sapevo che tu parlassi inglese così bene».
Cambio di scena, Europa, Bruxelles: Berlusconi si trova in uno dei momenti più drammatici della sua vita politica sbertucciato e spesso deriso dai comici che gli fanno il verso. Davanti a lui in piedi che lo guardano a distanza ci sono Nicolas Sarkozy e Angela Merkel. Non si capisce quel che dicono ma le loro facce sono improntate a supponenza e una punta di disprezzo. Dei due, oggi, l’ex presidente della Repubblica francese è un carcerato condannato per imbrogli sui finanziamenti elettorali.
Gli hanno dato tre anni di cui uno lo dovrà passare agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico al polso. Angela Merkel ha poi spiegato più volte di non aver mai avuto intenzioni irrispettose verso il Presidente del Consiglio italiano, ricambiata dallo stesso Berlusconi che ha negato di avere mai definito la cancelliera tedesca come poco attraente.
La sua politica estera nei confronti di Vladimir Putin sembra uscita da uno script di cartoni animati della Disney:il giovane Vladimir all’inizio del millennio aveva un’arietta da universitario sportivo sorridente, sicché quasi tutti i leader mondiali gli accreditano una indole cordiale e compagnona.
Berlusconi andava e tornava dalla Russia portando dei video in cui lui e Vladimir giocavano come se avessero fatto parte della stessa squadra: abbracci, baci, sorrisi, bevute, cene brindisi e quando il presidente russo venne a Roma fu ospite in casa di Silvio sicché si favoleggia del mitico «lettone di Putin» e le battute circolavano sfrenatamente.
Questa vocazione all’intrattenimento di Berlusconi è sempre stata vista con occhio supercilioso dai suoi detrattori ma faceva parte della sua natura naturans. Se vedeva in Senato in crocicchio di senatrici, ci si intrufolava con i suoi modi da intrattenitore e dopo un minuto scoppiava in una risata adolescenziale. Non è aneddotica ma politica.
Quando realizzò quell’impresa scenica che fu l’incontro di Pratica di Mare, dette prova di essere il più grande filmmaker dei tempi moderni. Aveva deciso di chiudere la guerra fredda, che peraltro era già chiusa da diversi anni, per porre in modo anche simbolico la parola fine alle incomprensioni e ai residuati rancorosi che ancora circolavano.
Partendo dai rapporti umani.
Così alla presenza del presidente francese e di quello inglese, prese le mani dell’americano Bush e quelle di un ex tenente colonnello del KGB come Vladimir Putin, ora Presidente della Federazione russa, e con le sue mani sollevò quell’intreccio di dita verso l’alto a favore di tutti gli obiettivi dei fotografi a delle telecamere, affinché fosse plasticamente vero che quella guerra era finita, quando invece oggi, purtroppo, vediamo che sembra ricominciata.
Quando lo sono andato a trovare l’ultima volta, il 3 marzo scorso ad Arcore, lo trovai stanco, consapevole della sua malattia, senza alcuna voglia di arrendersi e spaventato dalle possibili reazioni di Putin di fronte a una sconfitta militare. «Fa come Sansone con tutti i filistei, spinge un bottone e ci manda la bomba atomica. Certe volte mi chiedo se farei meglio a trasferirmi in Australia oppure scavare un grande bunker antiatomico qui in casa mia».
Disse che era un errore catastrofico quello che stavano commettendo le potenze occidentali che tentano di umiliare Putin, il quale per carattere non cederà mai e dunque prima di gettare la spugna ci getterà qualche bomba atomica.
Mi parlò malissimo del presidente cinese che gli avrebbe detto di essere pronto a conquistare l’intera Africa, perché nessuno avrebbe potuto impedirglielo: «Parlava con una arroganza e una brutalità muscolare» e gli fece una pessima impressione.
«Quello è il nemico da battere, ripeteva, mentre con Putin si tratta solo di rimettere in ordine una catena di malintesi e se mi avessero permesso di farlo io ci sarei riuscito». Si aspettava infatti che il governo Meloni lo scegliesse come seconda carica dello Stato, Presidente del Senato al posto di La Russa, per avere tutte le credenziali con cui trattare con Putin e chiudere la guerra.

Era una ferita che ancora gli bruciava molto anche se con un gesto fece capire che il suo lavoro l’aveva fatto e che non poteva rimpiangere di aver tentato l’impossibile.

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