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Da Arcore al Duomo tra gli applausi: quell'ultimo viaggio nella sua Milano

Il feretro parte da villa San Martino alle 14.17 e percorre le vie del centro. Un tragitto fatto mille volte: un corteo conclusivo dove tutto ha avuto inizio

Da Arcore al Duomo tra gli applausi: quell'ultimo viaggio nella sua Milano

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Questa volta, il corteo era funebre. Non, come è stato per decenni, un corteo giubilante per lui o mugugnante contro di lui. Questa volta, Silvio Berlusconi non è stato divisivo: al corteo ha partecipato da solo, in qualità di privato cittadino, una minoranza silenziosa. Abituato a essere un uomo solo al comando, non è però andato in fuga. Al contrario, è tornato nel centro esatto, geometrico e sentimentale, laico e religioso, simbolico e apostolico della sua città, il luogo dove tutto è iniziato e dove tutto ieri è giunto alla conclusione.

Migliaia e migliaia di volte l'avrà fatto, quel percorso di circa 30 chilometri, come un pendolare che scandiva il suo tempo da Villa San Martino in Arcore a piazza del Duomo in Milano. C'era da lavorare su aziende e agende, si dovevano fare incontri e scontri, era necessario occuparsi di partite doppie ed era una goduria assistere a partite di calcio, si tenevano comizi e si suscitavano giudizi. Rifarlo nuovamente, quel tragitto lastricato di tanti piaceri e tanti dolori, è stato come un ritorno alle origini.

Dicono che negli istanti prima di morire, quando la coscienza è ancora ben viva e si rifiuta di abdicare e di arrendersi alle tenebre, a molti accade di rivedere, come in un film girato a mille all'ora, i fatti salienti della propria esistenza. Ovviamente non sapremo mai se è accaduto anche a Silvio Berlusconi, ma di certo ieri è accaduto idealmente il contrario. Cioè molti luoghi, molti angoli e anche qualche spigolo acuminato e tagliente di Milano hanno rivisto lui. Dicono anche che fosse sua espressa volontà fare quella sorta di ultima passeggiata in assenza di se stesso, forse pensando di farlo per rendere omaggio a traiettorie e itinerari tanto familiari.

Per l'ultima volta, ieri è partito tardi, nel primo pomeriggio, alle 14,17, quando Milano si era già rimessa in moto dopo la fugace pausa pranzo. Però niente tangenziale, e invece diritto al punto, quasi una linea d'aria, calda e limpida, in questo giugno capriccioso e ieri clemente. Ed è arrivato come sempre puntuale, alle ore 15 in punto, spaccando il secondo, di fronte al portone della cattedrale. Dalla Brianzashire che sembra (e ieri lo sembrava ancora di più) una immensa Milano 2, fino alla capitale del lavoro, come dire da casa a casa, però facendo un giro panoramico fra i tinelli dei ricordi intimi, i saloni dei momenti decisivi e a volte epocali. Gli elicotteri, intanto, sorvolavano e sorvegliavano, mentre le telecamere registravano e spiavano per il pubblico.

Piano piano, mestamente, le villette a schiera si diradavano, si ritiravano pudiche nella loro privacy quotidiana e confortevole, e cedevano il passo ai vialoni solitamente trafficati dai carovanieri hinterlandiani e ieri lisci come l'olio, e poi alle arterie che conducono al cuore della nostra piccola metropoli, quest'ossimoro urbanistico figlio di secolari vestigia e di moderne bizzarrie architettoniche. Ecco le rettilinee strade alberate che inneggiano alla proverbiale premura meneghina, ecco gli autobus che sbuffavano, seppur fermi, ecco le rotaie dei tram lasciate per qualche ora a riposo. Ecco il centro storico, stretto dall'afa che montava, dai suoi spazi che possono essere claustrofobici o liberatori. Porta Vittoria era come l'ultima salita, ma una salita dolce, quasi un piano leggermente inclinato che dà le spalle all'orgoglio ottocentesco delle Cinque Giornate. E piazza Fontana, piccolo teatro dell'immane disastro, offriva a Silvio Berlusconi l'ultimissima curva, mentre la gente intorno si dava di gomito, sgranava gli occhi, urlava saluti.

Infine, un Duomo che appariva quasi candido e quasi buzzatiano, dolomitico, scrutava la sua piazza diventata per una volta metafisica come quelle di Giorgio de Chirico, sgombra a metà.

Da una parte si agitava la moltitudine, dall'altra, oltre quel poderoso portone, taceva la solitudine.

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