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Basta col tabù del paesaggio

​Sbloccare le installazioni di impianti di energia rinnovabile significa violentare la burocrazia, non il paesaggio

Basta col tabù del paesaggio

Sbloccare le installazioni di impianti di energia rinnovabile significa violentare la burocrazia, non il paesaggio. Il ministro Cingolani lamenta come molte di queste siano bloccate dalle sovraintendenze: «C'è una quantità enorme di potenza energetica di impianti nuovi ferma perché ci sono le sovraintendenze che bloccano l'autorizzazione per una questione paesaggistica». Il primo impulso è quello di mettere a contrasto i due valori, quello paesaggistico e quello energetico e anche il ministro vi inciampa: «Io capisco l'importanza del paesaggio, trovo stucchevole dire che il paesaggio va in Costituzione, siamo in emergenza. Bisogna capire quale è la priorità». Tuttavia, forse è il caso di usare una chiave di lettura diversa, ossia capire cosa si celi dietro tali «blocchi».

La burocrazia italiana non è nota per la sua rapidità. Così negli anni scorsi il legislatore si è occupato delle procedure per le autorizzazioni paesaggistiche. Intanto, molti interventi di piccolo cabotaggio sono stati esclusi dall'autorizzazione, mentre altri sono stati sottoposti a procedura semplificata. Per gli altri, a procedura ordinaria, ciò che risalta è la durata piuttosto breve dei termini entro cui la soprintendenza e/o l'amministrazione competente devono pronunciarsi: da 45 a 90 giorni, con possibilità di ulteriori 20. Alla presentazione della domanda da parte del richiedente, l'amministrazione competente svolge le verifiche e gli accertamenti necessari, anche acquisendo il parere della commissione locale per la qualità architettonica e il paesaggio. Poi trasmette la proposta di autorizzazione, unitamente agli elaborati tecnici, alla soprintendenza che fa le sue verifiche e nel caso richiede integrazioni ma qui i termini si sospendono! prima di emettere il parere di competenza entro 45 giorni, decorsi i quali viene indetta una conferenza dei servizi con ulteriori 15 giorni.

Senza soffermarsi su aspetti tecnici e procedurali e valutando solo l'iter da un ufficio all'altro e i soggetti coinvolti, paiono tempi davvero stretti, qualche mese al massimo. Non tantissimo per l'installazione di un impianto eolico o anche fotovoltaico. La domanda che sorge è se non siano «troppo» stretti, al punto da indurre le soprintendenze ad un atteggiamento difensivo: nel dubbio, negare, avendo come faro solo la propria missione paesaggistica. Però la soluzione non può essere il braccio di ferro paesaggio contro energia. Un territorio deve proteggere il suo paesaggio e anche generare energia rinnovabile. È una bilancia, se pende troppo da una parte c'è qualcosa che non va. Serve un punto di sintesi superiore che decida di volta in volta cosa privilegiare, nel merito e non solo in base alla documentazione formale.

Questo porta al vero nodo del problema: c'è paesaggio e paesaggio. Pure nel Bel Paese, una collina brulla dell'Appennino non è uguale alle Cime di Lavaredo, come una costa anonima non dà le stesse emozioni dei Faraglioni. L'accettazione delle diversità conduce dritto alla valutazione di merito. Infine, l'idea che il paesaggio non debba mai recare l'impronta umana va abbandonata. Noi esistiamo su questo pianeta con dignità piena. Certo, ci sono impronte brutte e impronte belle. Via Krupp a Capri o Castel Sant'Angelo sul Tevere sono impronte bellissime, mentre non lo sarebbe al loro posto un palazzone anonimo.

Non è «dove» lasciamo le impronte, ma «come».

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