Coronavirus

Borrelli, la storia surreale del perfetto capro espiatorio

Silenzioso, restio a polemizzare, vacilla alla guida della Protezione civile. Dove resta "l'autista di Bertolaso".

Borrelli, la storia surreale del perfetto capro espiatorio

All'interno della Protezione Civile è conosciuto come il «matematico di Bertolaso», ma anche come «l'autista di Bertolaso». E però, non si creda che per Angelo Borrelli, l'uomo a cui la malasorte e il governo, hanno scaricato la crisi e la sciagura, questi siano insulti. Anzi: «È la verità. Ho imparato tutto da lui, ma non posso essere lui». E infatti, quando i giornalisti hanno provato a fare litigare il vecchio con il nuovo, («Davvero non si sente commissariato dal suo arrivo?») il capo riluttante ha risposto con le parole belle dell'amico ritrovato: «Sono felice di lavorare insieme. Spero che Guido possa essere di questa partita».

Chi non ha fatto parte della squadra di Bertolaso, dice che difficilmente riuscirebbe a capire i vincoli e gli affetti che sono nati dopo il terremoto del 2009 a L'Aquila: «Eravamo colleghi, ma da allora diventammo qualcosa di più». E qui, forse, occorre sfatare la prima cattiveria che è stata gettata su Borrelli, pugile a cui adesso tutti le suonano: «Non è altro che un uomo che è rimasto sempre dietro la scrivania». Per oltre sei mesi, da vice capo dipartimento dell'area tecnica, Borrelli lasciò il suo ufficio di Roma e si trasferì nell'epicentro del sisma dove ancora qualcuno ricorda: «Dormiva in caserma, mangiava insieme ai volontari. Non ha mai alzato la voce con nessuno». Ciociaro, è nato vicino Latina, nel paese di Santi Cosma e Damiano, cinquantasei anni fa, la sua formazione è quella del contabile, revisore dei conti, e la carriera, è tutta pubblica.

Prima di passare alla Protezione Civile, si è formato nella Ragioneria Generale dello Stato, in pratica in mezzo a quei tecnici che devono bilanciare le fantasie dei governi senza sfasciare i bilanci. Tra le sue angosce c'è quella di non ricevere un avviso di garanzia che si sa, in Italia, è danno collaterale per chi fa il suo mestiere. Per questa ragione, Borrelli controlla atti, documenti: si affida alle cifre come i naufraghi allo scoglio. Taciturno come gli uomini di Luigi Pirandello, ha solamente nella tavola e nella campagna, la sua, i piaceri segreti: «Si ritrova e si ricarica nei fine settimana. Sta bene quando è in sella al suo trattore» rivela un amico. Non ha figli e per la Capitale non si muove con auto di servizio, ma con il suo motorino che non fa tanto comandante in capo. Il motivo per cui a distanza di mesi non si è mai provato a stendere un suo profilo è proprio questo: «Non c'è ragione per parlarne male ed è troppo buono», dicono i funzionari della Protezione Civile. «Ad Haiti, Bertolaso fece polemica anche con Barack Obama. Borrelli non riesce neppure a polemizzare con il ministro della Sanità, Roberto Speranza», sussurra un altro.

Ma allora come spiegare la gaffe dell'intervista, quella dell'annuncio: «In Italia i contagiati possono essere seicento mila»? E come spiegare l'uscita improvvida, in radio: «Le misure potrebbero essere prorogate fino al 16 maggio»? Chi lo conosce è certo che se Borrelli l'ha pronunciata è perché il governo voleva che la notizia uscisse. Del resto è sempre il governo che lo ha voluto su quella sedia. Amico di Paolo Gentiloni (conosciuto durante la preparazione del Giubileo) è proprio lui che lo ha nominato capo nel 2011. Con il governo gialloverde si è avvicinato a Luigi Di Maio. Borrelli arriva alla guida secondo una successione rigidissima. Dopo Bertolaso viene nominato Franco Gabrielli che era stato prefetto a L'Aquila, poi il suo il vice, Fabrizio Curcio. Poi il vice di Curcio, vale a dire Borrelli. Oggi il vice di Borrelli è Agostino Miozzo, il viso che lo ha sostituito durante la febbre che si temeva di Coronavirus, ma per fortuna non lo era. «Ha singhiozzato al telefono. Ha pianto. Si è sentito solo» confessa chi gli è stato vicino. Si sa del resto che vuole andarsene, non appena conclusa l'emergenza, e che Conte gli abbia in passato rimproverato le casette di Amatrice dove entra acqua da tutte le parti. «Noi dobbiamo parlare, caro Borrelli» si era lasciato scappare dopo una visita. Ma Borrelli non aveva colpe. Le casette sono state fornite da Consip così come oggi non è Borrelli a dover gestire il pasticcio mascherine, ma un commissario che è Domenico Arcuri.

Sempre disponibile con la stampa, accetta perfino la parodia che ne ha fatto di lui il governatore Vincenzo De Luca («Ci hanno mandato le mascherine di Bunny il coniglietto») uno che, si racconta, non gli vuole più parlare al telefono. Rischia di finire, immeritatamente, come capro espiatorio. Comandante senza comandi.

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