Coronavirus

Caccia ai contagi sommersi. In Veneto tamponi di massa

Crisanti: "All'appello mancano 250mila asintomatici e 200mila sintomatici. Ed è fondamentale scovarli"

Caccia ai contagi sommersi. In Veneto tamponi di massa

I conti non tornano e i contagiati sono molti molti di più rispetto ai casi ufficiali verificati con il tampone. Quattro volte tanto la Cina.

A mandare all'aria i bollettini ufficiali che la protezione civile fornisce ogni giorno è il direttore del Dipartimento di microbiologia dell'università di Padova Andrea Crisanti, che da ieri è letteralmente a caccia degli asintomatici e dei sintomatici non registrati. Solo scovandoli tutti e facendo emergere i «contagi sommersi» è possibile tracciare la reale mappa dell'infezione e limitarla.

In Lombardia, viste le proporzioni dell'epidemia, è tardi per contenere i danni, in Veneto forse ce la si può ancora fare. Per questo da ieri è cominciato il piano di tamponi a raffica su tutti. In base ai calcoli di Crisanti infatti «all'appello mancano 250mila asintomatici e 200mila sintomatici». Calcolando che ogni asintomatico è un portatore inconsapevole del virus e può contagiare fino a dieci persone, è facile capire quanto sia importante individuarlo e isolarlo. Il Veneto intensifica controlli e diagnosi e punta, nell'arco di due settimane, ad arrivare a 20mila tamponi al giorno, molti flash, rilevati per strada, lasciando le persone in auto come in Corea del Sud.

«Non è una prova muscolare nei confronti di nessuno - spiega il governatore veneto Luca Zaia - ma è, secondo noi, il modo migliore per salvaguardare la salute dei veneti e per uscire da questa emergenza con le ossa meno rotte possibile».

«Più casi positivi troviamo e isoliamo - spiega Crisanti - meno si ammaleranno, e di conseguenza potranno calare i ricoveri e il ricorso alla terapia intensiva. Quello che si chiama punto di flessione, che ci darà la misura degli effetti ottenuti, si avrà tra un po' di tempo, quando ci si attende un calo contemporaneo sia dei positivi che dei ricoverati».

Il metodo strong del Veneto risponde anche all'appello Oms che, a questo punto della guerra contro il Covid, incoraggia il più possibile i test e chiede «tattiche aggressive e mirate, diagnosticando ogni caso sospetto e mettendo in quarantena ogni suo stretto contatto». Lo sottolinea Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità: «Non siamo prigionieri delle statistiche. Non siamo spettatori indifesi - spiega -. Possiamo cambiare la traiettoria della pandemia. I numeri contano, perché non sono solo numeri. Sono persone, le cui vite e famiglie sono state capovolte».

Nei vari risvolti dell'epidemia, c'è anche un'altra categoria che avrebbe bisogno di una maggior assistenza. E che comincia a rappresentare una sorta di terra di mezzo che rimane in ombra. Si tratta delle persone che sono state isolate e lasciate a casa con la promessa di monitoraggi e assistenza sanitaria. Tuttavia non sempre è possibile stare dietro a tutti, manca il personale per farlo e per gestire i vari risvolti di questa epidemia.

E loro, che non sono tra i casi più gravi e urgenti, non vengono nemmeno sottoposti al test in Lombardia. O almeno, non finché non hanno problemi respiratori più rilevanti.

«A Milano - fa un esempio Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano - sono migliaia le persone a casa con il dubbio di avere l'infezione e senza indicazioni precise su come provvedere nel contesto familiare».

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