Cronache

"Ce lo aspettavamo, così fa malissimo. Errori e leggerezze dai giudici spagnoli"

Il papà della vittima: dall'inizio viviamo un assurdo senso di impunità

"Ce lo aspettavamo, così fa malissimo. Errori e leggerezze dai giudici spagnoli"

Non è solo amarezza né delusione. Non è rabbia e nemmeno rassegnazione. Nelle parole di Luigi Ciatti, il padre del giovane Niccolò, c'è la frustrazione e quel senso di impotenza di chi aveva provato a mettere tutti in guardia sul rischio di fuga dell'assassino del figlio. Aveva ripetuto fino allo sfinimento cosa sarebbe successo, e adesso che Rassoul Bissoultanov è diventato uccel di bosco la sua profezia si è puntualmente avverata.

Quanto fa male, oggi, sapere che le vostre paure erano più che fondate?

«Fa malissimo. Il nostro timore era questo sin dal giugno dell'anno scorso quando fu fissato il processo. Il sistema giudiziario spagnolo, che già aveva comminato la pena più lieve possibile per un caso di omicidio volontario aggravato, ha concesso a un assassino il beneficio di una settimana di tempo per preparare la fuga. Era chiaro che sarebbe fuggito, perché non parliamo di uno sprovveduto o di qualcuno sprovvisto di una rete di contatti in grado di renderlo irreperibile: in questo lasso di tempo Bissoultanov potrebbe essere ovunque. È vero, non ha il passaporto e non può prendere l'aereo, ma ha dimostrato di saper scomparire, come ha fatto dopo aver firmato la settimana scorsa».

Ritiene che sarebbe stato possibile evitare la fuga?

«Certamente. Ora ritrovarlo sarà un problema non indifferente, ma le alternative c'erano: gli inquirenti avrebbero dovuto predisporre una sorveglianza più attiva, in attesa di decidere se metterlo dietro le sbarre. O attivare i braccialetti, previsti dal sistema giudiziario spagnolo, seppur poco usati. O ancora si poteva obbligarlo alla firma ogni 2-3 giorni anziché a cadenza settimanale. In fondo parliamo di un assassino certificato, non di un comune delinquente. Ora confidiamo in un suo errore, ma è difficile che ne commetta ancora».

L'impressione è che sin dall'inizio di questa vicenda si siano susseguiti parecchi errori...

«Di sicuro in quest'ultimo episodio c'è stata molta superficialità, con controlli insufficienti da parte della polizia. Ho avuto occasione di parlare col pubblico ministero spagnolo, giovane ma determinato, e mi ha spiegato che per muoversi era necessario aspettare la sentenza. Arrivata dopo un mese. Ma sin dall'inizio di questo calvario, cinque anni fa, tante cose non sono andate come avrebbero dovuto. Prima le autorità hanno tenuto Bissoultanov in carcere 4 anni senza fare un processo, poi l'errore di un giudice italiano ha portato alla scarcerazione. E ancora: da un lato la Spagna ha fatto le corse per istruire velocemente un processo, e dall'altra c'è voluto un mese per emettere una sentenza, dopo il verdetto della giuria popolare. Insomma, avvertiamo un senso di impunità assurdo. Se mettiamo a confronto la nostra vicenda con la sentenza per i fatti di Colleferro, vediamo chiaramente quanto sia diversa la visione della giustizia da parte dei giudici italiani e spagnoli».

Come si fa a restare fiduciosi nella giustizia, dopo una serie così lunga di batoste?

«Noi più di questo non riusciamo a fare. Siamo noi a dover lottare per ottenere giustifica e far valere un diritto, perché di fronte abbiamo qualcosa che rispetto a noi è gigantesco. Un muro fatto di formalismi, procedure e decisioni sbagliate. Sentiamo intorno a noi la solidarietà delle persone comuni e delle istituzioni locali, ma non l'appoggio di chi dovrebbe darci la garanzia della certezza del diritto.

E tra un mese, il 12 agosto, saranno passati già 5 anni».

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