Guerra in Israele

Il coraggio di Amit: "Io, stuprata da Hamas"

Per la prima volta un ex ostaggio racconta gli abusi sessuali: "Costretta con una pistola in faccia"

Il coraggio di Amit: "Io, stuprata da Hamas"

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È il primo ostaggio liberato dalla Striscia di Gaza a parlare pubblicamente, esponendo il suo volto e il suo nome, per raccontare gli abusi sessuali subiti dai terroristi islamici durante i suoi 55 giorni di prigionia. Amit Soussana, 40 anni, avvocata, ha deciso di metterci la faccia per raccontare le botte, le torture e le violenze sessuali a cui è stata sottoposta dai terroristi da quando il 7 ottobre fu rapita dal kibbutz Kfar Aza, a 2 chilometri e mezzo da Gaza, la sua casa incendiata, lei trascinata con la forza da un gruppo di 10 terroristi, contro i quali ha lottato con tutte le sue forze, come dimostrano i video, immagini in cui la si vede trascinata brutalmente, presa in spalla, picchiata, mentre tenta di resistere a un destino brutale e al giorno più sanguinoso dalla Shoah, 1200 israeliani uccisi e 240 rapiti. «Non volevo lasciare che mi portassero a Gaza come un oggetto, senza combattere», ha raccontato al Nyt, che ha raccolto la sua testimonianza.

Rinchiusa in una casa a Gaza, ferita e sanguinante, incatenata alla caviglia, la stanza perennemente al buio, Amit ha trascorso le prime due settimane e mezzo con un unico carceriere, Muhammad. Qui si sono consumati gli abusi sessuali, dopo le torture già subite e quelle che verranno dopo. Il miliziano di Hamas - ricorda Amit - dormiva nella stanza a fianco, ma entrava nella sua all'improvviso in mutande, chiedendole della sua vita sessuale e proponendole dei massaggi. «Tutti i giorni mi chiedeva: hai avuto il ciclo? Ti è venuto il ciclo? Quando avrai il ciclo - diceva - quando sarà finito, ti laverai, farai la doccia e laverai i tuoi vestiti», ha ricordato Amit nel suo tragico racconto. Quel mese, a causa dello choc, delle percosse subite durante il rapimento e della fame, le mestruazioni sono durate appena un giorno, ma Amit ha finto che fosse una settimana. Aveva capito cosa poteva accaderle. Poi non ha potuto più mentire. Fino al giorno dell'aggressione sessuale. Muhammad le toglie le catene e le concede di lavarsi con acqua calda, ma le ordina di tenere aperta la porta del bagno. «Mi diceva: presto, fai presto». Poi è entrato in bagno mentre lei era nuda, stava tentando di prendere un asciugamano, e le ha puntato l'arma sul volto. «Mi ha fatto sedere sul bordo della vasca. E io ho chiuso le gambe. E ho resistito. E lui continuava a darmi pugni e a puntarmi la pistola in faccia», racconta provata la donna. «Poi mi ha trascinato in camera da letto». L'ha costretta, dice, a un atto sessuale su di lui. Poi l'ha lasciata senza vestiti, al buio, nella stanza. Fino a che è tornato: «Sono cattivo, sono cattivo, per favore non dirlo a Israele», le diceva, quasi preso dal rimorso.

Qualche giorno dopo Amit è stata portata in un'altra abitazione, dove un miliziano chiamato Amir viveva con la sua famiglia e dove si trovavano anche 4 ostaggi, due ragazze e due anziani. Le nuove «guardie» le hanno avvolta la testa in una maglietta, l'hanno costretta a sedersi sul pavimento, ammanettata, e hanno iniziato a picchiarla con il calcio di una pistola, poi a prenderla a calci sulle piante dei piedi, chiedendole informazioni, sospettosi. Amit non sa ancora cosa volessero. Ma racconta: «È stato così per circa 45 minuti. Mi picchiavano, ridevano e mi prendevano a calci, e chiamavano gli altri ostaggi perché mi vedessero». A metà novembre il trasferimento in un tunnel, piccolo e umido, il buio come costante della sua prigionia. Dopo 55 giorni, infine, il rilascio. E nonostante i racconti dettagliati, le altre testimonianze, i referti medici, le inchieste e l'ammissione dell'Onu, un portavoce di Hamas, Basem Naim, rilancia la propaganda dei terroristi.

Violenze e abusi sessuali? «Impossibile».

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