Coronavirus

Covid, ecco l'eredità di Conte: "Noi da un anno senza ristori"

Il dramma di diverse città turistiche. Negozi aperti ma nessuno cliente. Quel cavillo che li ha tagliati fuori dai contributi

Covid, ecco l'eredità di Conte: "Noi da un anno senza ristori"

Quattro mesi e non è cambiato nulla. O quasi. Eccola l'eredità del Conte premier che ora si accinge a diventare leader del M5S. Per capire se gli italiani apprezzano la sua discesa in campo, occorre andare a chiedere anche ad Assisi. La città è sempre lì, splendida e silenziosa come non lo è forse mai stata. Vuota, però. Tragicamente vuota come le tasche dei suoi commercianti. Da quando ilGiornale.it ha denunciato a novembre il disagio di decine di lavoratori rimasti senza sostegno, la macchina dello Stato giallorrosso non si è mossa nella direzione sperata. Hai voglia a pregare il poverello di Assisi. Hai voglia a sperare in un miracolo di San Francesco. La fede è roba seria. Ma quando vedi scorrere di fronte agli occhi i ristori 1, 2, 3, 4 e i contributi per le città d’arte senza poter incassare alcunché; quando aspetti almeno i ristori 5 o le briciole per le città Santuario, senza vedere un becco di quattrino, anche il più fedele dei devoti rischia di vacillare.

“Da novembre non abbiamo lavorato se non due mesi in estate, senza peraltro incassare granché. È una desolazione”. Silvia Balducci cammina per la via che dalla piazza del Comune porta alla Basilica Superiore e mostra uno dietro l’altro i negozi chiusi. I bar barcollano, gli hotel galleggiano, i ristoranti traballano. Ma ad aver subito il colpo mortale sono soprattutto i proprietari dei negozi: souvenir, gadget, prodotti tipici. I commercianti delle città d’arte e religiose, senza turisti disposti a spendere, sono destinati a perire. “Ho due negozi - dice Massimiliano Della Vedova - e il fatturato del 2020 è calato dell’80% rispetto al 2019”. Assisi è un simbolo, ma non è la sola in questa situazione. Città come Loreto, Cascia, San Giovanni Rotondo e altri “santuari”, se in zona arancione o gialla, possono tenere i negozietti aperti. Ma chi va a comprare un Tau francescano se i confini regionali sono serrati e dall’estero non arriva più nessuno? “I visitatori stranieri di solito fermano i voli e l’hotel con molto anticipo - spiega Pietro Mariottini - Ma con questa incertezza provocata dal virus nessuno si prende la briga di prenotare”. E così Assisi rimane deserta. Addio pullman pieni di americani, addio file di asiatici armati di macchinette fotografiche. I pochi turisti umbri che compaiono non si accalcano per portare via un ricordo. E i residenti veri e propri sono più o meno 500 persone, spesso anziane, che certo non si comperano il magnete con i dipinti del Giotto. L’equazione è: “Azzerato il turismo, azzerati gli incassi”. Semplice.

Per la prima volta da 30 anni entro ad Assisi con l’auto e la piazzo in scioltezza a due passi dalla Basilica. I parcheggi solitamente traboccanti sono ormai deserti. Ad attendermi ci sono diversi commercianti con l’animo sfiduciato. Sono combattivi, certo. Si sono organizzati su Facebook (clicca qui). Da tempo scendono in piazza per far sentire la voce di una “categoria dimenticata”. Ma dopo mesi di battaglie senza risultati il morale comincia a vacillare: “Non si capisce quando si potrà tornare ad una vita normale”. Da novembre Michela, Pietro, Silvia e altre centinaia di imprenditori hanno ricevuto solo i 2.200 euro di marzo, aprile e maggio accreditati a tutte le partite Iva. Poi più nulla. “Soldi per il turismo sono stati stanziati, e infatti hotel, ristoranti e guide li hanno ricevuti - dice Michela Cuppoloni - A noi però non è arrivato niente, come se non facessimo parte anche noi della filiera turistica”. Il discorso vale per negozi di souvenir, di porcellane, ma anche abbigliamento, arte e prodotti tipici. Tutta colpa dei maledetti codici Ateco, su cui si è basato il governo Conte per accreditare i ristori. Ma anche di scelte “incomprensibili” del ministro Franceschini, confermato alla Cultura. Nel decreto agosto aveva stanziato circa 500 milioni per le città d’arte, stabilendo però criteri rigorosi: i fondi sarebbero andati solo alle città capoluogo di provincia o metropolitane, con un notevole afflusso di visitatori. Alla fine hanno stappato spumante 29 città tra cui Siracura, Matera e Rimini. Ma non Assisi, che pure fa sei milioni di visitatori all’anno, ospita meraviglie dell’arte, basiliche papali, pellegrini e santi del calibro di Francesco, Chiara e il beato bambino Carlo Acutis.

“Quando raccontiamo in giro di non aver ricevuto nulla nessuno ci crede”, lamenta Stefano Leoni. La vicenda in effetti è paradossale. Possibile che dopo aver finanziato monopattini e banchi a rotelle non sia rimasto neppure un nichelino? “Ci possono bastare 2.200 euro in un anno per vivere? Noi non lavoriamo per hobby - fa notare Silvia - Dietro un negozio c’è una famiglia da sostenere”. Dopo mozioni, interpellanze, proteste, qualcosa nelle scorse settimane si era mosso. In legge di bilancio i fondi ci sarebbero, grazie allo scostamento di dicembre, e pare che l’idea sia quella di superare il criterio maldestro dei codici Ateco. Inoltre un emendamento ha allargato i contributi a fondo perduto per le attività dei centri storici anche alle città Santuario, benché con l’irrisoria cifra massima di appena 10 milioni. Si attende tuttavia il decreto Sostentamento, il primo dell’era Draghi, per capire a quanto ammonteranno eventuali accrediti.

Intanto il tempo passa, le spese aumentano, gli affitti vanno pagati così come le bollette e le tasse. Tra gli assisani c’è chi ha già deciso di non pagare le rate dell’Inps (“non posso privarmi del poco che mi è rimasto”) e sugli affitti ci si affida al buon cuore dei proprietari. “Prima o poi i nodi verranno al pettine - dice Stefano - quello che non pago oggi diventa un debito da saldare in futuro”. Silvia, ad esempio, non è riuscita neppure a ottenere il prestito garantito dallo Stato: un anno fa la lei e la socia si sono divise, e così la sua attività è passata dall’essere una società ad una normale ditta individuale. Per la burocrazia italiana il suo negozio ora è “nuovo”, ha una partita iva differente e nessun incasso pregressi da comunicare alla banca. Morale della favola: stesso negozio, stessa titolare, zero prestiti. “Siamo stati abbandonati - conclude Leoni - Ci vogliono sacrificare? Va bene. Ma se perdiamo il lavoro diventeremo disoccupati e ci trasformeremo in un costo sociale”. I commercianti allora sperano che il neo premier possa sanare le ferite e “traghettarci oltre questo guado”. “Il precedente governo per noi non ha fatto nulla.

Ora Speriamo nella sensibilità di Draghi”.

Commenti