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Il Csm oggi ascolta Cantone ma tutelerà solo se stesso

Il procuratore di Perugia vuole smentire i buchi sul caso Palamara. Il giallo del trojan della cena con Pignatone

Il Csm oggi ascolta Cantone ma tutelerà solo se stesso

È lecito o non è lecito mettere in discussione l'inchiesta della Procura di Perugia sul caso Palamara, sollevare interrogativi sulle chat raccolte a strascico, sui trojan accesi o spenti secondo logiche imperscrutabili, sulle correnti della magistratura finite nel mirino e quelle graziate dalle indagini? È questo, in fondo, l'interrogativo cui è chiamato a rispondere oggi il Consiglio superiore alla magistratura. Dopo pranzo verrà sentito a Palazzo dei marescialli Raffaele Cantone, il capo della procura umbra. Ha chiesto lui che il Csm intervenga per difenderlo dagli attacchi e dalle polemiche della stampa. Si chiama «pratica a tutela», è prevista dalle norme, è un gesto simbolico privo di conseguenze concrete, negli ultimi anni è stata usata solo per proteggere le toghe finite nel mirino di Matteo Salvini. Stavolta invece si tratta di sbrogliare veleni tutti interni alla categoria. Non sarà facile.

Cantone ha chiesto la tutela dal Csm per sé e per i suoi sostituti, accusati da articoli di stampa di non avere trasmesso tempestivamente alcuni atti dell'indagine. A interrogarlo sarà la Prima commissione, presieduta dal giudice astigiano Elisabetta Chinaglia, esponente della corrente di sinistra, entrata nel Csm proprio in seguito alla dimissioni di un membro coinvolto nelle intercettazioni di Palamara. Sarà interessante vedere se la commissione si limiterà a prendere atto delle lamentele di Cantone, o vorrà farsi spiegare dal procuratore i tanti buchi neri dell'indagine.

I buchi, come è noto, non mancano. Coinvolgono non solo la gestione dell'inchiesta avvenuta prima che Cantone venisse mandato a fare il capo a Perugia, ma anche i passaggi successivi. Il più recente e vistoso, la spiegazione fornita da Cantone allo strano black out del programma inoculato sul telefono di Palamara in coincidenza della cena dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati con Giuseppe Pignatone, la sera del 9 maggio 2019. Una conversazione cruciale, persa per sempre. Cantone ha liquidato la faccenda dicendo che «il trojan non ha registrato l'incontro perché non era programmato per l'orario in quella registrazione». Ma le analisi informatiche dei legali di Cosimo Ferri, deputato renziano, hanno concluso che invece il trojan era perfettamente attivo. Dove sono finite le registrazioni?

Sono obiezioni che difficilmente Cantone si sentirà rivolgere. La linea del Consiglio superiore della magistratura (a parte isolate eccezioni) sul caso Palamara è ormai chiara: archiviare la pratica nel modo più indolore possibile, relegarla a un incidente di percorso dovuto a qualche mela marcia. A ribadire la linea è stato, con una intervista rilasciata al Messaggero proprio alla vigilia dell'audizione di Cantone, il vicepresidente David Ermini. Ermini è stato eletto alla carica anche con il voto di Palamara, anzi - dice Palamara - grazie a una cena con il medesimo, Luca Lotti e Cosimo Ferri, «come all'Hotel Champagne». Ma, a differenza di altri, non ha neanche pensato a dimettersi. E nell'intervista di ieri oltre a minimizzare le dimensioni del caso Palamara («Quanti magistrati avrà coinvolto? Cinquanta? Cento?») garantisce che oggi «un sistema spartitorio nel Csm non c'è più». Tutto risolto.

Se questo è il quadro, improbabile che oggi Cantone senta rivolgersi domande troppo scomode.

Il Csm lo tutelerà, in modo da tutelare soprattutto se stesso.

(Intanto l'Associazione nazionale magistrati che ha promesso di fare pulizia al suo interno pare abbia scoperto che le chat di Palamara non si possono usare perché Palamara non fa più parte dell'Anm. E adesso?)

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