Coronavirus

Il decreto Dignità è un cappio al collo. Industrie e calcio chiedono lo stop

Anche in emergenza è di fatto impossibile prorogare i contratti

Il decreto Dignità è un cappio al collo. Industrie e calcio chiedono lo stop

Negli ultimi giorni è stato il mondo del calcio a riportare in auge la vicenda, ma è proprio in questo momento di estrema difficoltà per il Paese che si può constatare come il decreto Dignità, varato da Luigi Di Maio, continui a produrre disastri da ormai quasi due anni.

Sembra strano parlare di lavoro in un periodo nel quale molte attività produttive sono bloccate, eppure ci sono intere filiere che, al momento, sono messe sotto pressione proprio a causa dell'emergenza, a partire dall'agroalimentare e dal farmaceutico. Idem per la grande distribuzione e le imprese che hanno riconvertito le produzioni alla fornitura di materiale sanitario. Tutta queste realtà hanno bisogno di un surplus di manodopera che potrebbe essere reperita proprio tra i lavoratori già in organico ma a tempo determinato. I desiderata si scontrano con la il decreto dignità che ha reintrodotto il cosiddetto «causalone» a ogni rinnovo (nonché dopo i primi 12 mesi), cioè la specifica delle motivazioni per le quali si proroga il contratto a termine. Il problema è che la «causale», ancorché l'emergenza possa rientrare nel novero delle specifiche, espone le aziende a contenziosi legali non di poco conto. E altri contenziosi potrebbero arrivare per quelle che, una volta ripresa la normale attività, vorranno in primo luogo attingere al bacino dei lavoratori già formati. A gennaio su 538mila assunzioni registrate dall'Inps solo 79mila sono state le trasformazioni a tempo indeterminato (-36% annuo), unico possibilità concreta offerta dal decreto. Non è un caso che sia Alessandro Cattaneo di Forza Italia che Giorgia Meloni, leader di Fdi, tra gli interventi prioritari abbiano chiesto al governo l'abolizione in toto del dl Dignità, facendosi portavoce delle imprese che, in questo momento, preferiscono non deteriorare ulteriormente i rapporti con il Palazzo.

Come detto, il contestato provvedimento è stato riportato al centro del dibattito dal mondo del calcio. La Federcalcio, presieduta da Gabriele Gravina, ha formalizzato un'esplicita richiesta al governo di sospendere per almeno 12 mesi lo stop alle sponsorizzazioni delle aziende di scommesse per 12 mesi, in deroga allo stop imposto dal decreto Dignità. Secondo diverse stime, il mancato introito causato alle società professionistiche varia dai 50 ai 100 milioni di euro annui. Risorse necessarie visto che il blocco dei campionati sta generando perdite mostruose cui, per ora, si tenta di mettere riparo con i tagli degli stipendi, come ha già fatto la Juventus.

«In Europa non c'è nessuno che abbia una legge del genere e in una situazione di emergenza ritengo giusto puntare su ciò che non si è riusciti a ottenere prima», ha dichiarato il presidente del Coni, Giovanni Malagò, avallando la linea di Gravina.

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