Attualità

Demenza, il male silenzioso

Un'epidemia senza cura che colpisce 2,5 milioni di persone: tra i 6 e i 10 anni l'aspettativa di vita. Gli ultimi studi sugli effetti di antivirali e antibatterici

Demenza, il male silenzioso

Ormai è diventata al pari di un'epidemia, silenziosa e sotterranea, che viene allo scoperto quando è troppo tardi, quando è già in fase avanzata e galoppa verso lo stato irreversibile, non esiste cura per farla regredire, è la quinta causa di morte tra gli over 65, e sopprime centinaia di migliaia di vite ogni anno.

Ognuno di noi conosce almeno una persona che ha un genitore, un familiare, un parente o un amico affetto da demenza, una malattia cronica dell'età avanzata, ma non esclusiva degli anziani, una definizione che comprende un gruppo di diverse patologie neurodegenerative del cervello, le quali però hanno quasi tutte lo stesso esito, ovvero il progressivo declino delle facoltà cognitive e intellettive, determinato dal cattivo funzionamento delle connessioni neuronali e dalla morte delle cellule nervose cerebrali, che alla fine arrivano a spegnere il cervello e quindi la vita.

La progressiva riduzione delle capacità encefaliche funzionali di questi pazienti, con conseguenze importanti sulla qualità della loro esistenza, coinvolge emotivamente e quotidianamente anche tutti gli altri componenti della famiglia, che spesso trovano difficoltà a prendersi cura del parente anziano con questo grave problema di salute, che non li riconosce più, che sopravvive da estraneo inebetito e che ha necessità di assistenza continua in tutte le sue attività.

La forma demenziale più conosciuta è la malattia di Alzheimer, la più frequente che copre il 50% di tutti i tipi di demenza, ma la cosa sconfortante è che, nonostante decenni di ricerca scientifica e mostruosi investimenti, l'origine di queste patologie è ad oggi ancora sconosciuta, anche se si ipotizza una plurifattorialità di eventi, come la familiarità, la genetica, il sesso, insulti ambientali e stili di vita, e si sta affermando l'idea che i fattori di rischio per l'aterosclerosi, quali l'ipertensione, il diabete, l'ipercolesterolemia e il fumo, abbiano un ruolo nella eziopatogenesi della malattia.

Quando Alois Alzheimer descrisse per la prima volta nel 1906 una strana forma di demenza di un suo paziente, evidenziò all'autopsia, tra i grovigli di cellule nervose, placche di una sostanza estranea chiamata «amiloide», il cui accumulo fu percepito come causa della malattia, e da allora tutte le ricerche, le cure e le terapie sono state finalizzate a tentare di sciogliere o eliminare tali depositi anomali, nella speranza di ottenere miglioramenti. Ma invano.

Dopo decenni di studi infatti, è risultato chiaro che bloccare l'amiloide o tentare di scioglierla non ha portato ad alcun effetto sulla progressione di malattia, e tutte le aziende farmaceutiche che avevano investito miliardi in medicinali, hanno desistito, anche perché non si è mai capito davvero perché questa sostanza si depositi nel cervello dei malati di Alzheimer. È noto da anni che l'amiloide è un potente antivirale ed antibatterico che il nostro corpo produce in risposta a molte malattie infettive, soprattutto croniche, e tale sostanza accerchia ed intrappola, come un collante appiccicoso, batteri, virus e funghi per favorirne la distruzione, per cui si è ipotizzata anche l'origine infettiva della demenza, ma tutte le tecniche di biologia cellulare avanzate non sono riuscite a supportare questa tesi.

Molti studi su pazienti sottoposti per varie patologie a lunghe, prolungate o croniche terapie con antibiotici, hanno però dimostrato che questi malati quasi mai sviluppano la demenza, per cui oggi si stanno testando antimicrobici, antivirali e farmaci che promuovono la risposta immunitaria contro virus e batteri su questi tipi di dementi, sempre nel tentativo di individuare la vera causa della degenerazione del loro cervello.

Quando compaiono i primi sintomi di demenza, cioè quando il cervello inizia a manifestare esteriormente la sua sofferenza, è già troppo tardi per intervenire, poiché i suoi neuroni hanno cominciato ad essere danneggiati diversi anni prima, in silenzio e senza segni manifesti, per cui, quando ci si accorge delle iniziali perdite di memoria a breve termine, uno dei primi segnali, ormai è impossibile ripristinare le corrette funzioni cerebrali o fermare in processo patologico, anche se molto dipende dalle aree cerebrali colpite dalla morte delle migliaia di cellule nervose. Morte che, è bene sottolinearlo, è sempre accompagnata da uno stato di infiammazione cerebrale persistente e cronica, evidente agli esami radiologici, la quale, nel momento in cui invade altre zone cerebrali, favorisce lo sviluppo tipico ed avanzato di tutto il corollario sintomatologico, quale la perdita dei ricordi, incapacità funzionali, declini cognitivi, dell'affettività e del comportamento, deflessione dell'umore e del pensiero astratto, che arrivano molto spesso anche ad impedire al paziente di riconoscersi allo specchio o di riconoscere gli stessi figli o familiari nelle fasi tardive e sempre serie della malattia.

In questa grave situazione però, va evidenziato che lo stato di coscienza dei pazienti resta inalterato, non sono angosciati o completamente disconnessi, cosa che permette loro di rispondere agli stimoli verbali, tattili e dolorosi, una condizione ancora incomprensibile alla scienza, ma che dimostra quanto sia tuttora misterioso questo settore intimo dell'uomo.

In Italia, con il progressivo invecchiamento della popolazione, le demenze, a prevalenza femminile, rappresentano una delle maggiori cause di disabilità per un totale approssimativo di circa 2,5 milioni di pazienti tra Alzheimer e le varie forme di degenerazione neuro cerebrale certificate, senza contare quelle ancora sommerse, stimate in 70mila nuovi casi ogni anno. Tutti i farmaci utilizzati, dagli inibitori delle colinesterasi, ai neurolettici, antidepressivi, benzodiazepine, ipnotici, antipsicotici ecc, hanno sempre avuto un valore terapeutico molto limitato, come ben sanno i familiari che assistono con sgomento, rassegnazione e dolore al declino progressivo ed inarrestabile dei propri congiunti che hanno amato e con i quali hanno condiviso la propria esistenza. I malati di Alzheimer hanno un'aspettativa di vita dai 6 ai 10 anni dall'inizio dei primi sintomi, molto dipende dal grado di assistenza e la morte avviene a causa dell'indebolimento delle difese immunitarie, che favoriscono broncopolmoniti, infezioni ed insufficienza respiratorie e cardiaca.

La demenza, in tutte le sue forme cliniche, deve necessariamente prevedere una forte progettualità relativamente alla ricerca e all'approccio terapeutico per modificare la storia naturale di quella che oggi viene considerata la vera epidemia del terzo millennio.

Commenti