Magistratura

Dritte all'indagato dalla toga rossa. Così Sirianni tentò di salvare Lucano

Il giudice dava consigli al sindaco-star di Riace, condannato per peculato e truffa allo Stato per il suo disinvolto "modello" di accoglienza. L'11 la sentenza d'appello

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Ci sono diversi modi per un magistrato di dimostrare la propria vicinanza agli ultimi, ai diseredati, ai migranti. Quando le leggi dello Stato vanno contro alle loro opinioni, accade che i giudici decidano semplicemente di non applicarle, come ha fatto la toga catanese che venerdì ha liberato quattro clandestini finiti agli arresti in base all'ultimo decreto governativo. Ma c'è chi va oltre, e - sempre in nome delle proprie convinzioni - da magistrato si trasforma in suggeritore degli inquisiti, una specie di avvocato occulto che spiega dietro le quinte come schivare le indagini.

È il caso di Emilio Sirianni, 63enne giudice calabrese, esponente storico di Magistratura democratica, e di un suo amico diventato famoso: Domenico «Mimmo» Lucano, già sindaco di Riace, inventore di un sistema di accoglienza dei profughi raccontato come «modello» (nella foto sono insieme). Il «modello Riace», si è scoperto poi, era basato su una violazione continua del codice penale: in nome dell'accoglienza Lucano e i suoi accoliti trattavano i soldi pubblici come fossero roba loro, favorendo amici, compagni, fidanzate, cooperative di area. Per questo Lucano è finito sotto processo per peculato e truffa allo Stato, è stato condannato in primo grado a 13 anni di carcere, ora sta affrontando il processo d'Appello. La Procura generale di Catanzaro, ha proposto per lui un lieve sconto di pena: 10 anni. La sentenza arriverà mercoledì 11.

Lucano ha detto che non vuole una pena più bassa, «il mio auspicio è quello di essere assolto, ma se questo non dovesse accadere, io non preferisco che mi riducano la pena, non voglio commiserazione o pietà».

Insieme all'ex sindaco sono state condannate altre 17 persone, tutte accusate di avere beneficiato - in un modo o nell'altro - del «modello Riace». C'è però un amico di Lucano che sul banco degli imputati, almeno davanti alla giustizia ordinaria, non c'è finito, anche se del sistema di accoglienza era (ed è tutt'ora) un fan: il giudice Sirianni, per l'appunto. Quando il sindaco-star finisce nel mirino delle indagini che porteranno alla sua condanna, la toga viene ripetutamente intercettata mentre consiglia al sindaco come schivare l'inchiesta, mettendolo in guardia contro le intercettazioni telefoniche e fornendogli altre dritte. Sirianni in quel momento non è interno alle indagini, non è in grado di fornire a Lucano informazioni riservate; ma conosce a menadito il funzionamento della macchina-giustizia, le dinamiche del processo. Insomma, i suoi sono consigli autorevoli e preziosi, anche se non evitano a Lucano di finire sotto processo e condannato. Tra un consiglio e l'altro, Sirianni si lascia scappare anche giudizi volgari su un collega di rilievo, Nicola Gratteri, oggi procuratore della Repubblica a Napoli. Viene indagato per favoreggiamento, poi prosciolto.

Sirianni, quando le sue intercettazioni sono divenute pubbliche, non si è tirato indietro, ha rivendicato l'appoggio al disinvolto sindaco di Riace, ha partecipato a conferenze stampa insieme a lui, ha rivendicato di far parte di «quella magistratura che non piaceva a Berlusconi e a Renzi cosi come non piace oggi a Salvini e al ministro Bonafede». Il ministro della Giustizia lo spedì sotto procedimento disciplinare, il Csm lo trattò con guanto di velluto: unica sanzione, non lo confermarono nell'incarico di presidente della sezione Lavoro del tribunale di Catanzaro. A decidere il Csm impiegò 4 anni, col risultato che la bocciatura arrivò quando Sirianni avrebbe comunque dovuto lasciare l'incarico: ma Magistratura democratica riuscì a indignarsi comunque, la decisione era un «enorme pericolo per tutta la magistratura e per ciascun magistrato». In realtà il trattamento ultramorbido riservato dal Csm a Sirianni fu un messaggio di segno opposto a tutta la categoria: le leggi non contano, l'importante è la missione salvifica della magistratura.

L'altro ieri, a Catania, il giudice Apostolico ha dimostrato di avere ricevuto il messaggio.

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