Cinema

Era il "maschio" (più che il merlo)

È morto il merlo maschio. Soprattutto merlo, pensò qualcuno al tempo dell'omonimo film di Pasquale Festa Campanile

Era il "maschio" (più che il merlo)

È morto il merlo maschio. Soprattutto merlo, pensò qualcuno al tempo dell'omonimo film di Pasquale Festa Campanile. Soprattutto maschio, dico adesso io. Ieri è morto Lando Buzzanca che da parecchio non era più lui, al termine di un lungo declino psicofisico (un tentato suicidio, una demenza senile...) impietosamente raccontato da articoli giornalistici che faticavo a leggere, da tanto lo avevo ammirato. Una parabola non molto meno triste di quella di Laura Antonelli, sua stupenda compagna di set, altro nome di gran richiamo nei cinema italiani dei Sessanta-Settanta, e sembra di parlare degli Etruschi, me ne rendo conto. Dopo Giampiero Mughini, Buzzanca era il mio siciliano preferito e a differenza di Mughini non rappresentava l'intellettuale, chiaro. Rappresentava per l'appunto il maschio. Nemmeno l'uomo, proprio il maschio, la condizione virile messa in crisi dalla rivoluzione sessuale, con la femmina sempre più autonoma e arrembante. Lui che sessantottino non era bensì rischiosamente di destra, quando il grosso dei registi si dichiarava di sinistra (oggi è cambiato qualcosa?), nel Sessantotto aveva l'età di Cristo e cominciò a farsi allegramente crocifiggere («Mi hanno sfruttato, ma mi sono anche lasciato sfruttare») in film dove recitava la parte del fusto fessacchiotto. Ridete, ridete, sembrava dire, basta che i produttori paghino bene e continuino a chiamarmi affinché strabuzzi gli occhi di fronte alle tette di Barbara Bouchet. Erano film dai titoli programmatici, Le dolci signore, Professione bigamo, Il prete sposato, Jus primae noctis, Homo eroticus, All'onorevole piacciono le donne, Lo sciupafemmine, per esplicitare subito la sua e, visti gli incassi, non solo sua ossessione. Era l'ultimo eroe della differenza sessuale, Buzzanca. «Ci sono cose che non andrebbero mai fatte: depilarsi per esempio. Li prenderei a schiaffi. È la cosa peggiore che possa fare un uomo, è orripilante vedere un uomo con le sopracciglia fatte e senza peli sul torace». E questo, si badi bene, è un virgolettato del Ventunesimo secolo, tratto da un'intervista rilasciata alla Nazione nel tempo in cui era già costretto a fare fiction televisiva. Quando, forse nemesi, forse pedaggio da pagare, gli affibbiarono la parte del padre, prima contrariato e poi modernamente approvante, di un giovane omosessuale. Ma il Buzzanca del piccolo schermo era troppo piccolo per me, preferisco ricordarlo masculo e siculo cinematografico, il grande Lando che in Don Giovanni in Sicilia appena atterrato a Catania sorride a ventiquattro denti ed esclama: «Questa è un'isola tutta da godere».

Forse uno stereotipo ma uno stereotipo da rimpiangere, di quando non ci si vergognava degli ormoni maschili.

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